Letta nella lotteria europea
Prima il Rapporto Ocse sull’Italia ha dipinto di nero il 2013, poi la Bce ha misurato l’inefficacia della sua politica, riducendo ancora i tassi d’interesse allo 0,5% (con un’inflazione all’1,2%), ieri la Ue fotografava l’Italia del 2013: debito al 131,4% del Pil, deficit al 2,9%, recessione a -1,3%, disoccupazione verso il 12%. Nel frattempo Washington si tingeva di rosa: 165 mila nuovi posti di lavoro in aprile, disoccupazione scesa al 7,5%, Wall street a un nuovo record, il dollaro in rialzo. Servono ancora altre prove che l’austerità (in Europa) produce depressione e che la politica espansiva (negli Stati Uniti) accelera la ripresa?
Eppure i discorsi di Letta “l’europeo” sono stati tutti di retroguardia. Rassicurazioni a Berlino e Bruxelles su un deficit sotto il 3% per rispettare i vincoli europei, mentre Francia, Olanda e Spagna rompono tranquillamente la barriera. Trepidazione verso i capricci della finanza quando la politica monetaria diventa permissiva perfino a Francoforte e i tassi d’interesse sui titoli italiani potrebbero scendere significativamente. Incertezza sul quadro politico del paese, con l’umorismo involontario dell’annuncio di Barroso: «la stabilità politica sta tornando a regnare in Italia». E uguale incertezza sul quadro europeo, con i segnali di “cambio di stagione” rispetto all’austerità – tra questi anche la mossa della Bce – che non si traducono ancora in una ventata di rinnovamento delle politiche europee rispetto al gelo dei vincoli neoliberali.
Imbarazzo, infine, sulla tassazione, di fronte alla propaganda post-elettorale di Berlusconi sull’Imu da abolire, quando è addirittura il capo dell’Ocse a chiedere a Letta di «tagliare le tasse sulle imprese e sul lavoro, compensando con imposte sui consumi, su proprietà immobiliari e su emissioni di gas a effetto serra». Riuscirà il neo-viceministro Stefano Fassina a portare una linea tanto audace dentro il Consiglio dei ministri?
Qui i margini di spesa sono già contesi tra taglio dell’Imu, non-aumento dell’Iva, esodati e cassintegrati. Naturalmente, si potrebbe fare di meglio: ad esempio, con i 4 miliardi che costerebbe la cancellazione dell’Imu sulla prima casa, si potrebbero azzerare le imposte dirette per tutti i lavoratori dipendenti che guadagnano meno di mille euro al mese – 4 milioni e 300 mila contribuenti che nel 2011 hanno pagato imposte su redditi sotto i 15 mila euro. Una redistribuzione di questo tipo – con la benedizione dell’Ocse – potrebbe aiutare la ripresa, limitare la povertà , fermare l’aumento delle disuguaglianze (e perfino far recuperare un po’ dei consensi finiti ai Cinque Stelle). Ma sono forse queste preoccupazioni degne dei vertici europei?
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