Legge elettorale entro luglio Intesa minima anti Porcellum

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ROMA — Entro la fine di luglio non ci sarà  più il Porcellum ma una nuova legge elettorale. Non sarà  quella definitiva perché ad essa si arriverà  al termine del processo costituente che ieri ha preso l’avvio con l’audizione del ministro Gaetano Quagliariello davanti alle commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato riunite in seduta congiunta. Ciò che ha deciso il vertice di maggioranza — si è tenuto prima che il premier Enrico Letta volasse a Bruxelles — è, come rileva lo stesso Letta, «mettere in sicurezza subito la legge elettorale per rispondere alla Corte costituzionale ed evitare una pronuncia di incostituzionalità ». L’intesa, quindi, è stata raggiunta su «piccoli cambiamenti», come testimoniano le parole del capogruppo del Pdl a Montecitorio, Renato Brunetta, e del ministro per i rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini. «Abbiamo raggiunto l’accordo per modifiche minime», puntualizza Brunetta. «Sul merito e sull’ampiezza di queste norme di salvaguardia discuteremo in un secondo tempo», aggiunge Franceschini, mettendo in evidenza che «le posizioni di partenza sono lontane: c’è chi pensa a ritocchi light e chi invece vorrebbe una revisione profonda». Sui contenuti si attiverà  nei prossimi giorni Quagliariello che farà  una serie di consultazioni con i partiti per poi riferire al governo.
Al momento la discussione verte su due opzioni: introdurre un tetto per il bonus o abolirlo del tutto. Il Pdl vorrebbe che la soglia si attestasse sul 40% per fare scattare il premio su base nazionale, valido in entrambi i rami del Parlamento. Il sistema attuale invece prevede che al Senato il premio scatti a livello regionale. Il Pd insiste, al contrario, su più soluzioni: reintrodurre il Mattarellum, estendere a Camera e Senato il meccanismo con il quale si scelgono i sindaci, ritoccare il Porcellum.
In ogni caso, come avverte Letta, «sulle riforme ci giochiamo gran parte della vita di questo governo e della durata della legislatura». E che la posta in gioco sia questa lo prova l’intervento di Quagliariello. Il ministro, a sua volta, cita l’impegno solenne assunto dal premier nel chiedere la fiducia e l’ammonimento del presidente Giorgio Napolitano, pronto a farsi da parte qualora partiti e Parlamento si sottraessero «al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società  italiana». A deputati e senatori Quagliariello dice che occorre evitare due pericoli: il «conservatorismo costituzionale», secondo cui «qualunque intervento che non sia di pura manutenzione della Costituzione è bollato come un attentato alla democrazia» e l’«accanimento modellistico», che confina la discussione in un ambito astratto e che «è il modo migliore per non concludere nulla».
Quagliariello sottolinea poi che «il pilastro fondamentale» del disegno riformatore è l’intervento sulla forma di governo. Indica due possibili sbocchi: il governo parlamentare e il semipresidenzialismo alla francese. Soluzione, questa, verso la quale propende lo stesso ministro, che rimarca come a ogni modello corrisponda una specifica legge elettorale. Ecco perché avverte che «ora non avrebbe senso un’opzione stabile in favore di questo o quel sistema di voto senza sapere prima se la meta del percorso riformatore è Parigi, Londra o Berlino», sottintendendo così che la scelta può cadere tra semipresidenzialismo francese, premierato rafforzato all’inglese, cancellierato tedesco. In questo quadro, auspica la fine del «bicameralismo paritario», la riduzione del numero dei parlamentari e interventi sui costi della politica. Entro la fine del mese, annuncia Quagliariello, ci sarà  il via libera al «comitato dei 40», composto dai componenti delle commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, che sarà  affiancato da un gruppo di esperti che avranno un «ruolo solo consultivo». E alla fine del percorso costituente ci sarà  un referendum confermativo. Impegni gravosi sui quali, garantisce, «l’unica cosa che il governo non è disposto a fare e mi auguro non lo sia nemmeno il Parlamento, è cincischiare per arrestare il cambiamento».


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