L’effetto Mps non travolge Siena Ma la sinistra va al secondo turno
SIENA — La decrescita senese è tutt’altro che felice. «Siccome i miei concittadini rifiutano il concetto di legalità , trasparenza e onestà , il risultato non può essere che questo». Nella angusta sala stampa del municipio, il candidato sindaco del Movimento 5 Stelle si lancia in una inusuale invettiva contro i suoi mancati elettori. Al mattino la pensava in un altro modo. «Sostituite Parma con Siena» aveva scritto sulla sua pagina Facebook. Passano poche ore, e la sua città diventa come Sodoma e Gomorra, ma peggio. «Che schifo. Speravamo in un minimo di riconoscenza, invece niente. Neppure un grazie. Invece del nostro riscatto morale preferiscono le loro misere rendite di posizione, garantite dal sistema di Monte dei Paschi. Dal pensionato allo studente che trova il locale in affitto, non si salva nessuno. Nessuno che senta la necessità di sgrovigliarsi dal groviglio armonioso».
Forse l’informatico Michele Pinassi non era la persona giusta, ma lui non è così cattivo come potrebbe sembrare dalle le sue parole. Sulla sua faccia si legge più imbarazzo che rabbia. È in difficoltà . D’accordo, M5S va male in tutta Italia. Ma questa era un’altra faccenda. Siena è la città dello scandalo, Monte dei Paschi è stato la clava usata da Beppe Grillo per menare sui vecchi partiti nell’ultimo e decisivo mese di campagna elettorale prima delle elezioni politiche. È il simbolo di un consociativismo dove tutto si teneva, la prova del viluppo di innominabili interessi economici e politici. «I senesi sono tutti colpevoli, perché non potevano non sapere». I giornalisti locali sono sgomenti davanti a questa profusione d’amore per la loro città . Dai Michele, non fare così, gli dicono. Niente da fare. «Questa è una città che vive tutta sulle rendite di posizione». Niente da fare. Quell’8,2 per cento è un dato troppo duro da mandar giù. A febbraio M5S aveva preso il 21%, e sembrava ancora poco.
Siena era la madre di tutte le battaglie, parole di Beppe Grillo dal palco ai giardini della Lizza, appena quattro giorni fa. Non era andato bene, quel comizio. Anche il Capo se n’era accorto. Alla fine sembrava deluso, c’era nell’aria qualcosa di strano. Aveva profuso molti sforzi per la campagna elettorale di Pinassi, doppio comizio, parlamentari in visita. Come a Roma, fatte le debite proporzioni. «Qui andiamo al ballottaggio» aveva detto Grillo, anche se non sembrava convinto. Adesso Siena è forse il dato più importante della débà¢cle a Cinque Stelle.
Dopo tutto quel che è successo, la protesta doveva dare una spinta alle forze antisistema. Era anche logico immaginare che andasse così. Ovunque, ma non qui. Pinassi continua a ripetere di non avere nulla da rimproverarsi, che la colpa è degli altri che non hanno capito. Forse è vero l’opposto. La proposta di nazionalizzare Mps ha prodotto ottimi dividendi a livello nazionale, ma rappresenta esattamente lo spauracchio dei senesi, che vivono nel terrore di perdere banca e identità . I tempi dei soldi a pioggia sul territorio sono finiti.
La crisi si sente, ma non al punto da cancellare la speranza di un futuro dignitoso, meno penitenziale della decrescita teorizzata da Grillo come unica risposta ai molti problemi della città . I senesi sono conservatori benestanti di sinistra, con la tendenza a respingere ciò che non riescono a inglobare nel loro ormai ex groviglio armonioso. E così, dopo il caos, si apprestano a eleggere sindaco uno che al Monte dei Paschi ci lavora da oltre trent’anni.
Quando annunciò la sua candidatura, ai primi di febbraio, Bruno Valentini riuscì a radunare la bellezza di cinque persone al bar Il Palio di piazza del Campo. I soffitti bassi del locale suggerivano similitudini con le riunioni dei carbonari. Si definiva renziano. E così venne catalogato, ma per mancanza di prove. Il Pd senese lo odiava così tanto che gli aveva impedito di partecipare alle primarie del mese prima.
Alla fine Mps ha travolto tutto e tutti. Valentini è così diventato la scialuppa di salvataggio in grado di salvare dal naufragio nemici di vecchia data e comprovato odio come il presidente del Consiglio regionale Alberto Monaci e Franco Ceccuzzi, il candidato ufficiale travolto dagli scandali. Al Partito democratico è andata di lusso. D’accordo, rispetto alle elezioni politiche ha perso quasi dieci punti, passando dal 34 al 24,8%. Ha incassato anche il buon risultato di Laura Vigni, candidata della sinistra sopra il dieci per cento. Ma la scelta di Valentini, imposta dagli eventi, ha evitato il tracollo, e dopo quel che era successo non era scontato.
Ci sarà comunque un ballottaggio. Con il suo 39,6%, Valentini se la vedrà con il chirurgo Eugenio Neri, fermo al 23,1% capofila di una manciata di liste civiche che raggruppano centrodestra e fuoriusciti del Pd. Non accadeva dal 1993, quando ci fu un duello a sinistra. Ma per il Pd, con tutto quel che successo, è il male minore. Anche per questo lo smarrimento del povero Pinassi merita comprensione umana, al netto della consueta tirata sulla macchina del fango contro M5S, guidata dai giornalisti. «Se non ci riusciamo a Siena» si chiedeva sconsolato «dov’è che possiamo vincere?». Questa, almeno, è una buona domanda.
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