La Ue all’Italia: bene il deficit Più lavoro negli Usa, Borse su

by Sergio Segio | 4 Maggio 2013 6:28

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BRUXELLES — L’Italia speri, può sperare. Ma si tenga anche forte. Volendo semplificare al massimo ciò che la Commissione europea ci preannuncia per i prossimi mesi, nelle sue previsioni economiche di primavera, il senso è questo: una probabilissima buona notizia, la fine della procedura di infrazione per deficit eccessivo inflittaci a suo tempo dalla Ue (il nostro deficit pubblico è visto ancora in salita ma non dovrebbe varcare il 3% del prodotto interno lordo, tetto fissato dalla Ue); e poi, un orizzonte di tempesta che richiederà  buoni timonieri.
Nelle parole dedicate all’Italia da Bruxelles: «Non ci sono segnali chiari di ripresa nel breve termine, dal momento che la fiducia di consumatori e imprese rimane in territorio negativo, indicando un’attività  economica ancora in contrazione nella prima metà  dell’anno…». E poi, i numeri che stanno in fila su quell’orizzonte: disoccupazione in salita all’11,8% già  quest’anno, e primato negativo del 12,2% nel 2014; debito pubblico, altra impennata fino al 131,4% quest’anno e record nero nel 2014 (si sfonderà  il tetto simbolico del 132%, toccando il 132,2%). Bruxelles suppone che la recessione italiana si prolunghi per il 2013 — una lieve ripresa è confermata per l’autunno — con peggioramento delle previsioni di crescita (meglio: decrescita) del Pil, visto ora in calo dell’1,3% mentre solo a febbraio si parlava «appena» di un -l%. Nel 2014, si intravede un Pil finalmente in ripresa dello 0,7% (ma tre mesi fa si confidava su un +0,8%).
Secondo il commissario Ue agli Affari economici Olli Rehn, «con un debito pubblico così elevato, per l’Italia è necessario proseguire con il risanamento anche dopo l’eventuale uscita dalla procedura per deficit». E il deficit dovrà  comunque restare sotto il 3% «quest’anno e oltre». Con un ulteriore monito Ue: dalla procedura si uscirà  se, da qui al 29 maggio, Roma «continuerà  l’impegno per finanze pubbliche solide» («e cioè se non cancellerà  di colpo l’Imu», traduce sbrigativamente e forse abusivamente un osservatore dei palazzi Ue). Per Rehn, l’Italia deve soprattutto «riprendere competitività  e capacità  di crescita». In risposta, il ministero italiano dell’Economia ha già  annunciato che nei prossimi giorni trasmetterà  a Bruxelles «le misure che saranno prese per sostenere la crescita e l’occupazione, pur restando su un sentiero di finanza pubblica sostenibile». Secondo il neoministro Fabrizio Saccomanni, «uscire dalla procedura di deficit eccessivo consentirebbe all’Italia di beneficiare di nuovi spazi di flessibilità  per politiche di sviluppo».
Tutt’intorno, ci sono naturalmente il resto dell’Eurozona e della Ue. Dove la Commissione europea sembra allargare le braccia con toni insolitamente sconfortati: «Ci si aspetta che la ripresa dell’attività  economica sia troppo lenta per ridurre la disoccupazione». Questo svela in prospettiva l’incubo peggiore e più antico dell’Europa, «il rischio che può nascere per la coesione sociale». In un Paese, in due, poi in tanti. Perché è un rischio mai previsto dalla costruzione comunitaria, fin dal secolo scorso. E magari ne metterebbe in forse le radici.
In queste previsioni di primavera, sono state ritoccate al rialzo le stime sulla disoccupazione in quasi tutti i Paesi: dalla Grecia e dal Portogallo (27%) all’Irlanda (14,2%). E se la recessione conferma quasi ovunque la sua morsa, c’è una «novità » che spicca su tutte: a 4 nazioni che sforano il tetto del 3% del deficit, la Commissione non applica alcuna procedura di infrazione ma al contrario concede una sorta di indulto. Alla Francia (deficit al 3,9% quest’anno e al 4,2% nel prossimo) due anni di tempo in più per «rientrare»; alla Spagna, altri due anni. E un’offerta di proroga di un anno anche all’Olanda e alla Slovenia, pure «peccatrici».
L’ottovolante della crisi europea continua. Ma oggi, c’è anche chi festeggia, sui mercati finanziari. Al di là  dell’Atlantico, intanto: i nuovi dati confortanti sul mercato del lavoro negli Usa, con la disoccupazione scesa al 7,5% (sotto le attese), hanno calamitato verso l’alto i listini di Wall Street. Il Dow Jones per la prima volta ha superato quota 15 mila, chiudendo in rialzo dell’1%. E subito dopo quelli europei. In testa a tutti la Borsa di Francoforte (+2,02%), poi Parigi (+1,4%), poi Madrid (+1,65%) e Milano (+1,04%).
Luigi Offeddu

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