by Sergio Segio | 11 Maggio 2013 8:47
Iscritti e simpatizzanti sono disorientati dalla scelta di governare con il Pdl. I sondaggi danno esiti sconfortanti, le divisioni sono profonde e c’è il rischio reale di un’esplosione del partito. Questa drammatica situazione costituisce certo una specificità italiana, ma al tempo stesso rispecchia le turbolenze che scuotono tutta la sinistra europea. In Francia, Franà§ois Hollande ha battuto molti record di impopolarità ; la sua maggioranza si sta lacerando e le critiche dei settori più a sinistra si fanno più incalzanti. In Gran Bretagna il Labour è sempre in quarantena; in Germania, almeno per ora l’Spd non sembra in grado di colmare il suo distacco da Angela Merkel. Si ripropone così nuovamente la domanda che aleggia da tempo sull’Europa: la sinistra è condannata a scomparire?
In termini elettorali la sua situazione appare più contraddittoria: nel 2012 ha infatti conosciuto una lieve schiarita, che sembrava porre fine a un lungo ciclo favorevole alla destra. Dopo il disastro del Pasok in Grecia, la sinistra, già all’opposizione, ha vinto in
Slovacchia, in Francia, in Olanda e in Lituania, e in modo assai particolare in Romania. Ma si è trattato di successi ambigui, generalmente risicati, spiegabili più con la volontà di punire i governi uscenti che con l’adesione alle proposte, peraltro assai timide, delle formazioni di sinistra. Il caso francese è emblematico. La stentata vittoria di Franà§ois Hollande, col 51,6% dei suffragi al secondo turno delle presidenziali, non ha suscitato slanci né speranze. Nel 2013 la piccola ondata di sinistra che sembrava profilarsi sembra ormai esaurita. Se a Malta i laburisti, prima all’opposizione, hanno avuto la meglio, a Cipro è avvenuto il contrario: il candidato di destra, che era all’opposizione, ha battuto il suo rivale di sinistra. Ma è stato soprattutto il caso italiano, col risultato deludente della coalizione di centro-sinistra, a costituire un vero e proprio trauma, dato che la sua vittoria era data per certa. Bisognerà ora attendere le elezioni di domani in Bulgaria, e quelle di settembre in Germania e in Austria per sapere se la fragile dinamica della sinistra si sia veramente arenata, o se è in grado di ripartire.
Di fatto, dopo il crollo del muro di Berlino, la globalizzazione
sempre più accelerata, le profonde mutazioni delle nostre società e gli sconvolgimenti delle mentalità indotti dalle trasformazioni antropologiche in atto hanno gravemente destabilizzato la sinistra riformista. Negli ultimi decenni, la sua strategia in materia di alleanze è apparsa esitante, e i suoi capisaldi in campo sociologico vacillano. Le sue organizzazioni si vanno decomponendo, la sua identità appare indistinta, la sua cultura è sempre più evanescente. E i suoi leader, tranne poche eccezioni, non danno prova di possedere una statura adeguata. L’impatto delle nuove sfide l’ha colpita in pieno. Mentre dall’opposizione ha criticato le politiche di austerità e di rigore adottate in risposta alla crisi finanziaria, una volta al potere le ha fatte proprie, riducendo così notevolmente la portata delle azioni sociali che si sforza di promulgare, a fronte della disoccupazione in aumento, delle crescenti disuguaglianze e della povertà sempre più diffusa. Colpita in profondità dalle metamorfosi della politica, fatica ad adattarsi alla «democrazia del pubblico», che esige leader forti, in contrasto con i suoi valori classici. I suoi elettori di origine popolare, disgustati dalla politica, si astengono o votano per gli schieramenti populisti. Chi aspira a una democrazia diversa censura l’oligarchia di partito, assimilata alla destra. Se nel corso della storia la sinistra ha progressivamente adottato l’europeismo, fino ad erigerlo a un’identità sostitutiva del socialismo, divenuto indefinibile, e della nozione di sinistra sempre più vaga, oramai l’Europa ha deluso i suoi elettori, a volte fino al rifiuto. Fuori dai partiti, ma anche al loro interno, le correnti radicali della sinistra rilanciano la critica al capitalismo e denunciano il liberismo, sognano il ritorno alle utopie, e si riempiono la bocca di termini come rottura e alternativa, dai contenuti mai ben precisati.
Se accade che le circostanze politiche costringano la sinistra, come avviene in Italia, a governare con i suoi avversari, essa deve però al tempo stesso riaprire i cantieri del rinnovamento. Per ricostruire le sue fondazioni, il suo progetto, la sua identità , la sua organizzazione, la sua leadership. Per confrontarsi con la realtà , facendo fronte all’immane crisi sociale. Per ridefinire i termini del compromesso tra le forze del lavoro e quelle del capitale, nell’era della globalizzazione e di un capitalismo finanziario spietato, ma al tempo stesso foriero di continue innovazioni. Per ripensare i contenuti di quella politica dell’uguaglianza che costituisce, come già ha dimostrato Norberto Bobbio, la sua virtù cardinale. Per rifondare una democrazia onesta, partecipata, innovativa, di cui le primarie hanno costituito un primo tentativo, a un tempo interessante e problematico. E infine per rilanciare un progetto europeo più democratico ma anche più efficiente in campo economico, fiscale e sociale.
Proseguire la navigazione a vista, praticata spesso dalla sinistra, vuol dire spalancare le porte alle forze di protesta già in piena ascesa, che al loro passaggio rischiano di spazzar via tutti i partiti di governo. Sia di destra che di sinistra.
Traduzione di Elisabetta Horvat
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