La prima tappa della città  deliberante

by Sergio Segio | 4 Maggio 2013 7:03

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La prima tappa della Costituente itinerante per i beni comuni in sede deliberante che si svolge oggi all’Aquila rappresenta un momento di sperimentazione importante per la vita del diritto (e pure della politica) nel nostro paese. Questo primo appuntamento sarà  seguito a Roma dalla prima riunione dei giuristi in sede redigente che si svolgerà  a porte aperte e in streaming il 9 maggio al Teatro Valle Occupato. Il teatro romano, dopo aver organizzato in Aprile la “riunione 0” della Costituente Itinerante, si conferma un essenziale avamposto dell’innovazione istituzionale in materia di beni comuni. Il tema discusso all’Aquila, in questa attesissima prima che sperimenterà  finalmente in pratica la metodologia del lavoro dei prossimi mesi, è quello della città  come bene comune, dell’accesso agli spazi urbani, delle utilità  condivise nella vita cittadina, dell’ecologia urbana e della responsabilità  verso le generazioni future di consegnare una città  armonica, viva e sostenibile.
 La scelta dell’Aquila perché proprio qui il saccheggio neoliberale, fatto di un misto di arroganza, disonestà  e incapacità , ha dato il meglio di se. Il cuore teorico dell’incontro sarà  perciò la questione della “rendita fondiaria” che per tutti gli anni sessanta e settanta del secolo scorso aveva affaticato una dottrina giuridica volta a discuterne la compatibilità  con la Costituzione (in particolare l’Art. 42 sulla funzione sociale della proprietà ) e che invece, dagli anni ottanta, è stata completamente abbandonata dalla riflessione giuridica e costituzionale. Da trent’anni si dà  per scontato che la rendita fondiaria “appartenga” al proprietario come una sorta di inattaccabile “frutto civile” del suo titolo proprietario. Questa naturalizzazione all’appartenenza individuale della rendita è messa in radicale discussione da una politica del diritto incentrata sui beni comuni che riconosce la rendita come prodotto della collaborazione sociale e dunque qualcosa di strutturalmente collettivo. L’esperienza pratica dell’Aquila, mostra tutte le conseguenze nefaste di questa vera abdicazione teorica del pensiero giuridico critico.
 Per i numerosi giuristi dell’ex Commissione Rodotà , presenti sotto il tendone aquilano, quest’interlocuzione dal basso con una città  ferita e con le molte pratiche di riappropriazione degli spazi urbani (incluse le lotte per il diritto alla casa) sarà  ben più importante di qualunque lettura di repertori di giurisprudenza che su questi temi tramandano tristi idee, incapace di rompere il circolo vizioso che mette in collegamento corruttivo l’interesse privato con quello degli amministratori pubblici. Questo inizio di partita all’Aquila mette sul tavolo le ambizioni della Costituente itinerante, per una nuova legittimità  dei beni comuni, per un’alternativa alla legalità  neoliberale. Un Codice dei beni comuni, che eredita e amplia (senza più aspettar deleghe da un Parlamento delegittimato dalla legge elettorale vigente) la parte della Legge Delega prodotta dalla Commissione Rodotà  nel febbraio 2008 relativa ai beni comuni, non può che partire dalla nozione di utilità  e di accesso condiviso, come del resto già  risulta dai primi documenti prodotti subito dopo la riunione del 13 aprile al Teatro Valle.
L’utilità  prodotta dai beni comuni va interpretata in connessione con una idea di cittadinanza (ovviamente in senso non formalistico e quindi estesa a tutti perché nessuno è clandestino) cui deve essere garantita un’esistenza libera e dignitosa. L’accesso condiviso a sua volta consentirà  di codificare i beni comuni come «opposto della proprietà » (la felice formula è di James Boyle), sostituendo l’esclusione tipica della struttura proprietaria borghese con l’inclusione e la concentrazione del potere (condivisa da proprietà  e sovranità  statuale) con la sua diffusione. Questa declinazione dal basso dei beni comuni è pure l’opposto del riformismo neoliberale, simboleggiato dalla consegna del Ministero delle Riforme istituzionali a un politico come Quagliariello e che trova nella proposta Convenzione costituzionale la sua declinazione più pericolosamente sovversiva del nostro ordine costituito.
Se quello della Convenzione è riformismo, all’Aquila allora si porta avanti un concreto cammino costituente di contro-riforme. Con la Costituente itinerante i giuristi redigono, per conto del popolo, una diffida formale al potere: il sovrano vuole il mantenimento di quella rivoluzione promessa che Calamandrei considerava l’essenza della nostra carta fondamentale. Come ha ribadito ieri la costituzionalista Lorenza Carlassare sul manifesto , dalla crisi non si esce continuando a calpestare la democrazia.

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