La «tana» del killer del piccone Tensione per il presidio della Lega

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MILANO — I cuscini marroni di un divano, la borsa vuota di un discount, diverse paia di scarpe deformate, un tappeto inzuppato di pioggia, bottiglie e lattine di birra economica, escrementi, rovi, scatole di tonno e sardine residuo di vecchi pasti. E poi un passeggino deformato, un reggiseno celeste lasciato nel fango e il cartone di una pizza. Pulito, integro. Forse il resto dell’ultimo pasto di Mada Kabobo. È qui, tra le rovine sorrette dai ponteggi di villa Trotti che l’assassino ha trovato il piccone con il quale sabato mattina ha ucciso una persona e ne ha ferite altre cinque, due sono gravissime. È qui nel cuore di Niguarda, in via Passerini all’angolo con via Ornato, che Kabobo ha trascorso la notte prima dell’alba di sangue. E forse, in questo cascinale con il tetto di travi marce e il solaio sfondato, Kabobo potrebbe aver trascorso anche i giorni precedenti.
Un rifugio per senza tetto, al centro del quadrato di vie teatro delle aggressioni del ghanese, una «tana» sudicia dalla quale è uscito per andare a uccidere. È la scoperta dei carabinieri della stazione di Greco, che hanno setacciato il quartiere in cerca delle tracce dell’uomo con il piccone. Già  stamani Mada Kabobo, rinchiuso in isolamento in una cella del carcere di San Vittore, potrebbe essere interrogato dal gip e dal pm Isidoro Palma.
Il tempo che passa, però, non offre soluzioni ai misteri. Non c’è una ragione per quei colpi sferrati dalla furia assassina di questo ragazzo di 31 anni arrivato dal Ghana fino a quest’angolo di Milano. Le ore trascorse servono solo a dare speranza ai familiari di Ermanno Masini, 46 anni, e Daniele Carella, 21 anni, i due feriti più gravi. E neppure servono a restituire a Nunziatina suo figlio Alessandro Carolé, 40 anni, ammazzato a picconate mentre aspettava un caffè al bar. Oggi all’istituto di Medicina legale sarà  eseguita l’autopsia. Nel bilancio della furia di Kabobo lui è l’unica vittima. Ma i medici ripetono che il geometra in pensione Masini — aggredito nel parco giochi di via Adriatico — e Daniele Carella — il ragazzo che consegnava i giornali con il padre in via Monterotondo — sono in condizioni disperate. In coma al Policlinico il primo, operato due volte il secondo. «Daniele non mollare», ripete il fratello gemello Cristian che assieme ai genitori e agli amici aspetta buone notizie all’esterno del reparto di neurorianimazione al Niguarda. Sabato notte le condizioni si sono ulteriormente aggravate ma nel corso della giornata di ieri la situazione è tornata stabile. «Ora si parla di vita o di morte. Non pensiamo a nient’altro», dice lo zio Fabrizio Nieddu.
Non c’è solo il dolore dei familiari delle vittime nel day after di Niguarda. Ci sono le polemiche innescate da una vicenda che, come temono gli abitanti del quartiere, è ormai strumento di lotta politica, in un misto di rabbia, commozione e opportunismo. Ieri mattina, mentre nella parrocchia di San Martino si celebrava la messa della domenica, fuori, in piazza Belloveso proprio di fronte al bar Delrosso dove è stato ucciso il 40enne Carolè, la Lega Nord raccoglieva firme contro lo ius soli. In testa l’eurodeputato Mario Borghezio, con l’ex presidente del Consiglio regionale Davide Boni e il segretario provinciale del Carroccio Igor Iezzi: «La Boldrini rappresenta il buonismo di Stato e ora vuole abolire i Cie», lo slogan ripetuto più volte in piazza. Parole che, a poco più di ventiquattr’ore dalla furia senza ragioni di Kabobo, hanno provocato la reazione di una ventina di abitanti: «Borghezio torna a casa! Non speculare su un morto». Momenti di tensione placati grazie all’intervento di alcuni agenti della Digos.
Ieri sera poi è stata la volta di una manifestazione promossa dalla presidente del Consiglio di Zona 9, Beatrice Uguccioni. Trecento persone che si sono fermate in piazza Belloveso e hanno deposto fiori davanti al luogo dov’è stato ucciso Carolé. C’era anche il sindaco Giuliano Pisapia: «Aiuteremo le famiglie delle vittime. Questi fatti restano inspiegabili, non siano strumentalizzati. L’integrazione non è in discussione».
Cesare Giuzzi
Giacomo Valtolina


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