La Grecia vede la fine del tunnel

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MILANO — La Grecia è salva. I greci — purtroppo per loro — ancora no. Dopo cinque anni da incubo che hanno bruciato un quarto del Pil nazionale, Atene manda in onda le prime prove tecniche di ripresa “dimezzata”. La finanza ha già  dato il suo verdetto: l’austerity lacrime e sangue imposta dalla Troika ha funzionato. E il rischio di addio all’euro è un ricordo del passato. La prova? I numeri: la Borsa di Atene ha guadagnato il 134% in un anno, Fitch ha promosso il rating, il bilancio dello Stato ha chiuso i primi tre mesi 2013 in utile, gli hedge fund stanno comprando a man bassa azioni delle banche elleniche. «Segnali di primavera» assicura il Wall Street Journalche fino a pochi mesi fa vaticinava come una Cassandra il ritorno alla dracma. Rafforzati ieri, ciliegina sulla torta, dal crollo sotto l’8% dei bond decennali che 11 mesi fa rendevano il 28,99%.
Sotto l’Acropoli, però, nessuno ha stappato l’Ouzo per festeggiare. «Abbiamo svoltato — ha detto il ministro alle Finanze Yannis Stournaras — . La finanza anticipa l’economia reale e tra breve la ripresa farà  sentire i suoi effetti nella vita di tutti i giorni». Magari. Per ora, però, non è così: il Pil greco è crollato tra gennaio e marzo per il 19esimo trimestre consecutivo (-5,3%) portando a -28% il calo dal 2008. La disoccupazione viaggia al 27%, quella giovanile è al record europeo del 64,2%. La crisi ha lasciato ferite sociali che non accennano a rimarginarsi: 3,4 milioni di greci (su 11 milioni) vivono sotto la soglia di povertà  dei 7.400 euro l’anno. Oltre 400mila famiglie sono senza uno stipendio e 800mila persone hanno perso l’assistenza sanitaria visto che il welfare non garantisce la copertura a chi resta senza lavoro per più di un anno. E così mentre lo spread si accorcia (il differenziale sui bund tedeschi è sceso in un anno da 2.700 a 660) la fila davanti agli ospedali gratuiti delle Ong a due passi dal Parlamento è ogni mattina più lunga.
Fmi, Bce e Ue — dopo aver garantito ad Atene prestiti per 230 miliardi — preferiscono vedere il lato buono della medaglia. Convinti che l’ottimismo possa fare da volano a fiducia e consumi: «La Grecia ha fatto enormi passi avanti — ha scritto nel suo ultimo rapporto il Fondo — riducendo di due terzi il gap competitivo con l’Europa ». Dimenticando di ricordare che ci si è riusciti tagliando del 20-25% pensioni e stipendi. Il premier Antonis Samaras, confortato dalla tenuta del suo fragilissimo governo di unità  nazionale, è sulla stessa linea: «L’anno prossimo torneremo sul mercato», ha vaticinato. La disoccupazione – garantisce Bruxelles – scenderà  al 21% nel 2016 e già  ad aprile le assunzioni — grazie al boom del turismo – hanno superato di 20mila unità  i licenziamenti. Qualche applauso è arrivato persino da Angela Merkel, contenta perché — come ha preteso in passato — la Grecia ha iniziato «a fare i compiti a casa»: le privatizzazioni, dopo molte false partenze, sono decollate con la vendita di Opap (lotterie). L’esecutivo, rompendo antichi tabù, taglierà  15mila statali e persino la raccolta fiscale — storico tallone d’Achille — sta mettendo a segni buoni progressi, come ha ammesso persino Fitch.
Peccato che i greci non mangino pane e rating. E infatti, malgrado l’ottimismo dispensato a piene mani in questi giorni, restano ancora con i piedi per terra. Il + 200% dei titoli della National Bank of Greece in un mese hanno arricchito gli speculatori ma non la gente comune. Il 60% dei cittadini, calcolano i sondaggi, è convinto che la crisi finirà  tra 10 anni. E la Troika ha già  fatto sapere che nel 2014 saranno necessari altri sacrifici per 4 miliardi. Qualcuno sostiene che a quel punto Ue, Bce e Fmi — per premiare Atene — potrebbero dare una sforbiciata volontaria ai loro crediti. In riva all’Egeo nessuno si illude. Sarà  pure arrivata la ripresa della Grecia. Ma l’austerity, per i greci, non è ancora finita.


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