La giustizia per il governo: ordine pubblico e corporazione

Loading

Cominciamo dalla rimozione. Nel programma di governo la giustizia semplicemente non c’è ed è la grande assente anche nel discorso di re-insediamento del presidente Napolitano che di quel programma è la premessa e la fonte. Il discorso presidenziale si occupa, infatti, di quasi tutto ma il termine «giustizia» non vi trova cittadinanza; e mancano anche i «diritti», mentre la parola «corruzione» vi fa capolino solo due volte (e per descrivere una situazione di costume). Il programma di governo poi – nel testo letto alla camera – dedica alla giustizia otto righe tra l’irrilevante e il grottesco, in cui si proclama, con scarso interesse per la consequenzialità  dei passaggi, che «la ripresa ritornerà  anche se i cittadini e gli imprenditori italiani e stranieri saranno convinti di potersi rimettere con fiducia ai tempi e al merito delle decisioni della giustizia italiana. E tutto questo funzionerà  se la smetteremo di avere una situazione carceraria intollerabile ed eccessi di condanne da parte della Corte dei diritti dell’uomo. Ricordiamoci sempre che siamo il paese di Cesare Beccaria!». Fine del discorso, che neppure accenna alle modalità  per raggiungere il risultato.
In compenso, nelle 5.753 parole che compongono il testo, il termine «giustizia» non compare mai, i «diritti» sono citati due volte in modo del tutto generico, le locuzioni «prescrizione», «falso in bilancio», «conflitto di interesse» sono sconosciute e la «corruzione» è evocata solo per dire che «distorce regole e incentivi» (sic!).
Non sono tra quelli che attribuiscono alla giustizia un ruolo salvifico nella vicenda del paese e neppure credo che – in questa fase – essa meriti il primo posto nell’agenda politica, ma qualcosa di più sarebbe stato lecito attendersi in una situazione in cui gli ultimi interventi al riguardo sono stati una legge sulla corruzione unanimemente criticata, la concessione della grazia (non agli ultimi della terra ma) al direttore del Giornale e al colonnello Joseph L. Romano, condannato a sette anni di reclusione per il sequestro di Abu Omar, e la sequela di rinvii dei dibattimenti a carico dell’on. Berlusconi dopo la marcia sul Tribunale di Milano dei parlamentari del suo partito e il conseguente monito del capo dello Stato sulla necessità  di garantire al cavaliere la possibilità  di «partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già  in pieno svolgimento»…
E veniamo al cambiamento. Già  mi aveva allarmato la nomina a guardasigilli di un prefetto: nulla di personale, ma era difficile non vedervi un segnale della trasformazione in atto della giurisdizione in capitolo delle politiche di ordine pubblico. Ma altri segnali sono venuti dalla nomina dei sottosegretari, tra cui spicca quella – appunto alla giustizia – di Cosimo Ferri, magistrato in servizio, campione del corporativismo giudiziario, segretario nazionale di Magistratura indipendente (la corrente più conservatrice e, naturalmente, apolitica dei giudici), in quota Popolo delle libertà , almeno stando al ben informato Corriere della Sera. Se ho letto bene i nomi c’è, tra i sottosegretari (all’interno) anche un altro magistrato. Non me ne stupisco e sono certo che la cosa non provocherà  alzate di scudi da parte dei fustigatori della politicità  dei magistrati… Ma il segnale è di grande rilievo. Non che siano mancati, anche negli ultimi tempi, i casi di partecipazione di pubblici ministeri e giudici a incarichi di governo, sottogoverno o di fiducia governativa: il sostituto romano Nitto Palma è stato ministro della giustizia dell’ultimo governo Berlusconi, il procuratore della Repubblica di Roma Giovanni Ferrara si è dimesso dall’incarico per diventare sottosegretario agli interni del governo Monti, l’ex procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito è stato nominato dal Consiglio dei ministri garante per il monitoraggio dell’esercizio delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione integrata ambientale per l’Ilva di Taranto e potrei continuare. Ma l’inclusione nella compagine governativa del segretario nazionale in carica di Magistratura indipendente segna un salto di qualità  e rimanda all’auspicio formulato da un notabile democristiano all’epoca di Mani Pulite: «Date tempo al tempo. Aspettate che la vecchia magistratura riacquisti il suo posto e vedrete che tutto tornerà  come prima!». Ci sono voluti due decenni ma, con il ritorno dei democristiani, anche quell’auspicio sembra realizzarsi.
Una fase si sta chiudendo. A tenerla aperta dovrebbero essere – come è stato nei decenni scorsi – la vigenza della Costituzione (che osta alla omologazione dei magistrati con il governo) e l’attività  di vigilanza e di denuncia pubblica della componente progressista della magistratura. Ma quest’ultima langue (o si rivolge ad altro) mentre la Carta fondamentale è di nuovo a rischio, affidata alle cure di una anomala Convenzione (aperta non si sa bene a chi), sulle orme dei dieci saggi chiamati, per un paio di settimane, a fare le veci di un Parlamento ritenuto inaffidabile. C’è di che riflettere.


Related Articles

QUEL PROCLAMA EVERSIVO

Loading

IN UN attimo siamo riprecipitati al 1994. A quel famoso videomessaggio con cui Silvio Berlusconi decise di “scendere in campo”. Lo strumento è lo stesso, i toni analoghi, gli argomenti pure. L’ex presidente del consiglio con il suo discorso in televisione non ha voluto solo mettere in piedi una trincea difensiva rispetto alla sentenza della Corte di Cassazione.

«Credibilità  e risultati. Così giudichiamo i partiti»

Loading

Il centro olandese di valutazione dei programmi: influenziamo la politica, è costretta a essere concreta Alla prova dei fatti

Colle, «addio» sempre possibile La carta coperta del presidente

Loading

L’evocazione del patto che lega il suo mandato bis alle «large intese»

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment