Ius soli , la sfida riguarda l’Europa

by Sergio Segio | 22 Maggio 2013 8:02

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Qualche anno fa un utente di un forum che raccoglie discussioni tra le cosiddette «seconde generazioni» rifletteva intorno all’uso del termine «nuovi italiani» e si interrogava sull’opportunità  di affiancare invece l’aggettivo «nuovo» al Paese: chiedeva una nuova Italia. Quell’utente difficilmente poteva immaginare che il dibattito sulla cittadinanza, sei anni dopo, avrebbe occupato il discorso pubblico con tanta costanza, ma aveva certamente saputo cogliere un aspetto chiave della vicenda: si trattava, allora come oggi, di una sfida dalle sorti strettamente legate ad un più ampio processo di cambiamento.
Eppure la disputa odierna intorno al tema dello ius soli non sembra in grado restituire quel sapore di conquista che è proprio dei movimenti di trasformazione. Si parla di questione di civiltà , di nodo cruciale per il futuro del Paese, ma contemporaneamente il dibattito rimane ostaggio della retorica delle forze parlamentari, senza che alcuna azione concreta si affacci all’orizzonte.
È come se alla discussione siano continuamente sottratti alcuni elementi chiave, come se fosse possibile rimuovere il discorso dalla realtà  del quadro politico che stiamo vivendo e si potesse discutere dell’approvazione di una riforma di tale portata senza fare i conti con la natura dell’esecutivo in carica.
Molti degli illustri sostenitori di questa campagna, infatti, sono parte della coalizione di governo e forse è il caso di ricordare che chi governa si assume la responsabilità  di fare o non fare le leggi, non di condurre dibattiti o battaglie. Non è un caso che a spegnere gli entusiasmi della neo-ministra all’integrazione Cécile Kyenge, già  abbondantemente tornata sui suoi passi, al di là  della prevedibile contrarietà  del Pdl e dell’inquietante posizione del M5S, ci abbia pensato proprio il presidente del Consiglio Enrico Letta dichiarando senza molti giri di parole che il tema gli è caro, ma «si tratta di un argomento al di fuori del percorso della fiducia». Può essere allora considerato un governo di cambiamento quello che sacrifica sull’altare delle larghe intese la riforma per lo ius soli? La domanda sembra retorica e la risposta piuttosto scontata. Ma per andare più in profondità  può essere utile affrontare il tema della cittadinanza misurandoci con la sua dimensione europea.
L’Europa oggi è infatti investita da un processo di costituzione dall’alto che proprio sul terreno dei diritti di cittadinanza sta restringendo spazi e opportunità . Il vecchio continente, con la crisi dell’Euro-zona e la sovranità  accentrata nelle mani di pochi istituti non eletti, pare aver definitivamente invertito quei processi di allargamento della sfera dei diritti che avevano caratterizzato, pur in parte ed maniera contraddittoria, la storia degli stati nazione. D’altra parte la cittadinanza europea è rimasta ancorata a quella riconosciuta dagli Stati membri e proprio questo scarto tra l’ambizione di una cittadinanza europea come «sovrappiù» e quella formale riconosciuta dagli Stati sembra il terreno su cui investire per ribaltare questo processo. La sfida sarà  lanciata già  nei prossimi giorni dalla coalizione italiana verso Blockupy Frankfurt, ai primi di giugno.
Lo stato di salute della democrazia europea ci consiglia insomma di non cadere in un errore, quello di affrontare la battaglia per il riconoscimento della cittadinanza italiana ai nati in Italia senza che questa sia accompagnata dalla rivendicazione di una più ampia sfera di diritti.
Perché il riconoscimento della cittadinanza, svuotato di ogni sua relazione con il contesto sociale ed economico attuale, non è la soluzione di tutti i mali. La precarietà , l’emergenza abitativa, l’aggressione ai beni comuni, l’esclusione dai processi decisionali, sono una realtà  che accomuna cittadini e non cittadini, a cui non sarebbero certo sottratti i nuovi nati se fosse riconosciuto il principio dello ius soli.
Si tratta insomma di un terreno di contesa molto più fluido di come ci viene presentato, in cui la posta in gioco è certamente superiore al riconoscimento di una fredda opzione giuridica. Per riprendere il filosofo francese Etienne Balibar, in ballo c’è il rapporto tra «cittadinanza e democrazia». Per questo, difficilmente la richiesta del riconoscimento dello ius soli ai nati in Italia troverà  spazio nelle aule parlamentari finché continuerà  a essere ridotta a moneta di scambio per la tattica politica, relegata a merce da barattare con il sostegno al governo, invece di dispiegarsi sul piano del conflitto, interrogando fino in fondo, per metterlo in discussione, il concetto stesso di cittadinanza europea e le sue istituzioni. Per farlo, questa riforma ha bisogno di nutrirsi dell’energia dei movimenti e di essere accompagnata dal linguaggio della conquista di una più ampia sfera dei diritti. Questa sì sarebbe una vera spinta per il cambiamento.
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