Iran. Tweet, nucleare e frugalità , il regime inventa l’asso Jalili
Ora anche i Guardiani della Rivoluzione, i potenti pasdaran, avvertono che le prossime elezioni presidenziali del 14 giugno potrebbero essere occasione di turbolenze. Il risultato del voto è “imprevedibile”, ha detto un alto comandante dei pasdaran mettendo in guardia dal ripetersi di disordini come quelli che seguirono alla rielezione di Ahmadinejad quattro anni fa. In Iran il voto diventa imprevedibile quando gli iraniani decidono in massa all’ultimo momento di andare a votare. A quel punto aggiustare il risultato diventa difficile. Successe con l’elezione di Khatami nel 1997 e con quella (rimasta controversa) di Ahmadinejad nel 2005. Chi ha mandato in tilt le previsioni elettorali, che finora apparivano come un gioco senza sorprese tra quattro o cinque candidati tutti fedeli al Leader supremo Khamenei, è stata la candidatura di Hashemi Rafsanjani. Nel ‘97 era stato proprio grazie alle sue insistenze
se il voto plebiscitario per il riformatore Khatami fu rispettato e dopo la sua candidatura una corrente di energia ha rianimato il campo riformatore, che era stato completamente eliminato dopo il 2009 (tanta paura fanno al regime i riformatori che i due loro principali esponenti, Moussavi e Karroubi, sono ancora agli arresti domiciliari).
Il Consiglio dei Guardiani, che ha il compito istituzionale di vagliare i candidati, potrebbe squalificare Rafsanjani. Già è in corso sui giornali e alla tv una campagna aggressiva in cui Rafsanjani viene associato alla “sedizione” di quattro anni fa (così vengono chiamate ufficialmente le proteste dell’Onda Verde), e un libro di sue interviste è stato sequestrato alla Fiera del Libro di Teheran qualche settimana fa. Domani si saprà se i dodici membri del Consiglio oseranno respingere la sua candidatura. Ma una squalifica sembra improbabile. Rafsanjani è uno dei pilastri della Rivoluzione islamica, l’ultimo rimasto insieme a Khamenei dei cinque uomini che fin dagli inizi avevano lavorato a fianco dell’Imam Khomeini, e ha ancora il sostegno di molti, nel bazar e a Qom. Togliere un pilastro portante da un edificio è un’operazione che può farlo crollare, e sembra difficile che Khamenei, ben consapevole della
impopolarità crescente del regime, voglia correre questo rischio.
Il Leader Supremo ha invece in mente un piano più astuto. Presentare un candidato che possa rappresentare un’alternativa vincente e arrivare così a un duello, nel quale mobilitare contro Rafsanjani i tanti iraniani ai cui occhi l’ex presidente — lo “Squalo” — è ancora il simbolo di una nomenclatura
ricca e corrotta che ha dimenticato i mostazafin, i poveri nel cui nome era stata fatta la rivoluzione. Il candidato prescelto dal Leader è Said Jalili, il negoziatore nucleare, l’uomo che da anni dice no a una capitolazione dell’Iran di fronte all’Occidente sul dossier nucleare. Il programma nucleare è considerato dagli iraniani lo strumento per entrare nella modernità ; e l’arroganza dell’Occidente, che continua a imporre sanzioni senza prospettare all’Iran nessuna via d’uscita credibile, lo ha reso il simbolo dell’orgoglio nazionale, dell’autosufficienza e del rispetto di sé che fa parte del dna di tutti gli iraniani.
Che Jalili sia il prescelto lo si è capito subito da come è entrato nella competizione un po’ in sordina rispetto alla prosopopea degli altri candidati che già fanno campagna elettorale da tempo, e da come i predicatori del Venerdì si sono subito spesi per lui, facendo notare che il 48enne diplomatico, che è stato nell’Ufficio del Leader da quando aveva 35 anni, guida una Pride, che sarebbe come dire una Panda, mentre altri, non nominati, vanno in giro in Mercedes (Rafsanjani notoriamente ha una Mercedes blu). E lo si è capito anche perché Jalili da tre giorni fa si è messo a twittare con grande impegno. Nel suo hash whyvote4Jalili scrive in continuazione, ricordando ogni volta che ha un dottorato e parla tre lingue (persiano arabo e inglese). Un’operazione, dicono i diplomatici che hanno avuto a che fare con lui, mirata a dargli un po’ di glamour, visto che ha fama di essere uomo noioso che parla per ore mettendo alla prova lo sbadiglio degli interlocutori (nel suo ultimo tweetdice però di essere «uomo che parla poco ma agisce»). Il paradosso curioso è che Twitter, in Iran, è ufficialmente proibito (come Facebook e Google e una miriade di altri siti) anche se tutti gli iraniani, o almeno i giovani, sanno come installare un antifiltro per renderli accessibili.
Ancora una volta, dunque, le elezioni del 14 giugno saranno un duello — e i duelli infiammano gli iraniani. E’ scongiurato così il pericolo che le urne vadano deserte, che si era già manifestato alle ultime elezioni parlamentari e al quale il regime è estremamente sensibile perché ha bisogno delle file di gente davanti ai seggi per poter dimostrare al mondo la propria legittimità . Un duello al primo turno — così spera Khamenei. Ma prima deve convincere gli altri candidati a lui fedeli ma molto ambiziosi a farsi da parte.
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