by Sergio Segio | 16 Maggio 2013 6:56
ROMA — Il prefetto Anna Maria Cancellieri sapeva che il suo trasloco dal Viminale al ministero della Giustizia non sarebbe stato semplice. E che il nuovo incarico le avrebbe riservato non poche difficoltà . S’aspettava di finire al centro di aspettative e pressioni, nella consapevolezza di muoversi su un terreno minato. E ora che le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi hanno riacceso il conflitto tra politica e magistratura, ecco arrivare le prime richieste. Al Csm che s’aspetta parole chiare in difesa dei giudici e proposte concrete per restituire un po’ di efficienza alla macchina giudiziaria, il Guardasigilli replica che le riposte arriveranno, ma a tempo debito. La prossima settimana interverrà davanti alle commissioni Giustizia di Camera e Senato, e lì fornirà le prime indicazioni. Sia sul programma che, verosimilmente, sui recenti contrasti. Cercando di evitare, per quanto sarà possibile, di restare invischiata nello scontro. Del resto la sua nomina doveva servire a lasciare il governo fuori dalle prevedibili tensioni e anche per questo il ministro è rimasto finora in silenzio.
Nel frattempo la sua agenda si riempie di nuove scadenze e sollecitazioni, che non arrivano da una parte sola. Solo ieri, mentre il Csm approvava l’appello che la coinvolge in prima persona, votato pure dal vicepresidente Vietti, lo stesso Vietti le ha scritto per ricordarle l’urgenza di indire il concorso per i magistrati ordinari di tribunale, rispettando una cadenza annuale «fin qui positivamente assicurata». L’invito arrivava in contemporanea con un’interrogazione del senatore del Pdl Lucio Malan che chiede a Cancellieri quali provvedimenti intende prendere contro il pm Boccassini per alcune frasi pronunciate durante la requisitoria al processo Ruby, depositata nelle stesse ore in cui Cancellieri era in visita al penitenziario romano di Rebibbia, per affrontare l’emergenza carceraria con qualche cognizione di causa. In più s’è riaperto il capitolo intercettazioni.
È uno degli argomenti che nella scorsa legislatura ha maggiormente alimentato le polemiche durante il governo Berlusconi e ora rischia di riaprile. Non solo tra politica e magistratura, ma all’interno della stessa maggioranza Pd-Pdl che sostiene il governo Letta. La ripresentazione del disegno di legge come l’aveva concepito l’ex guardasigilli Alfano viene considerata, nel centrosinistra, una sorta di provocazione. Sebbene la materia sia compresa nelle proposte di riforma indicate dal gruppo dei «saggi» incaricati da Napolitano di individuare punti di possibili convergenze.
Nel documento conclusivo si auspica una «migliore definizione» dell’utilizzo di alcuni strumenti d’indagine «più invasivi nei confronti dei diritti fondamentali come, ad esempio, le intercettazioni, per le quali dev’essere resa cogente la loro qualità di mezzo di ricerca della prova e non di strumento di ricerca del reato». Inoltre, «occorre porre limiti alla loro divulgazione perché il diritto dei cittadini a essere informati non costituisca il pretesto per la lesione di diritti fondamentali della persona».
Tradotto, significa stop alle cosiddette «intercettazioni a strascico» e sì a nuove norme sulla pubblicazione delle registrazioni gli atti di un’inchiesta penale. Proposte su cui anche il Pd potrebbe in teoria essere disponibile a modifiche, ma in un quadro di riforme più generale che tocchi anche altri aspetti e argomenti. I suggerimenti dei «saggi», insomma, potrebbero forse trovare qualche spazio se inseriti in un contesto e in un confronto più ampio sul tema della giustizia. Difficilmente immaginabile dopo gli avvenimenti dell’ultima settimana. Verificare se sarà possibile è uno dei compiti del nuovo ministro.
Giovanni Bianconi
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