Il soggetto della discordia

by Sergio Segio | 1 Maggio 2013 15:31

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Nel 1784 la «Berlinische Monatsschrift», un periodico tedesco di larga diffusione, pubblica la risposta di Kant alla domanda: Che cos’è l’Illuminismo? A duecento anni di distanza, nel 1984, Michel Foucault, in un libro curato da Paul Rabinow, suo allievo americano, pubblica un saggio dallo stesso titolo e, sulla scia di Kant, risponde alla domanda attualizzandone il significato.
I due testi appaiono ora assieme nel libretto edito da Mimesis, Kant-Foucault, Che cos’è l’illuminismo? (pp. 47, euro 3,90). L’operazione editoriale, di per sé interessante perché offre la partitura originale di un testo classico (quello settecentesco kantiano) con la sua esecuzione contemporanea (quella novecentesca foucaultiana), si espone, però, ad un doppio limite. Il primo, quello di confinare il Foucault pensatore dell’Illuminismo kantiano a questo solo saggio, il secondo di occultare il reale obiettivo perseguito dal filosofo francese: offrire una visione dell’Illuminismo sostanzialmente diversa da quella culturalmente egemonica affermatasi con la Dialettica dell’illuminismo di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno. Detta in breve, mettendo mano alla questione dell’Illuminismo Foucault chiarisce i suoi rapporti con la Scuola di Francoforte e la teoria critica della società  da essa inventata.
Oltre la filologia
Al primo limite, sarebbe a dire quello di offrire un’immagine parziale della riflessione foucaultiana sull’Illuminismo, si poteva ovviare in un modo molto semplice: fare seguire al testo di Kant, l’altro che gli è strettamente collegato, cioè Il conflitto delle facoltà  del 1798 in cui il filosofo tedesco continua la riflessione sull’Illuminismo entrando, però, questa volta, nel suo cuore pulsante, la Rivoluzione francese. Di pari passo, si poteva fare seguire al primo saggio di Foucault, l’altro in cui il filosofo francese commenta il suddetto Conflitto kantiano: quel Qu’est-ce que les Lumières? che già  Mimesis aveva pubblicato con il titolo Il problema del presente nella nota raccolta di saggi foucaultiani Poteri e strategie. 
Quindi, al lettore sarebbe stata offerta un’immagine realmente esaustiva del rapporto di Foucault con l’Illuminismo se, assieme ai due testi di Kant (Che cos’è l’illuminismo? e Il conflitto delle facoltà ), si pubblicavano i due saggi in cui il filosofo francese li commenta e li analizza (Che cos’è l’Illuminismo? e Il problema del presente).
Questi problemi filologici, però, hanno senso solo se inquadrati nella prospettiva teorica generale che guida Foucault: l’elaborazione di una idea di Illuminismo differente da quella della Scuola di Francoforte. Non a caso questa è evocata tanto in apertura di Che cos’è l’illuminismo, quanto nelle conclusioni de Il problema del presente. 
Con questo si ritorna al secondo limite del libretto pubblicato da Mimesis. Come lo si sarebbe potuto evitare? Stralciando quei passi dell’intervista di Duccio Trombadori del 1978, che da anni non si trova più sul mercato librario, in cui Foucault parla del suo rapporto con la Scuola di Francoforte e riconosce ai suoi principali esponenti il merito di aver posto, attraverso l’Illuminismo, una serie di problemi nei quali ci si dibatte ancora, primo tra tutti quello dell’esercizio di una ragione che, mentre crede di combattere per la conquista della libertà , si trasforma in strumento di dominazione profondamente illiberale. Questi stralci dell’intervista, posti a mo’ di introduzione ai suoi due scritti sull’Illuminismo, avrebbero dimostrato che Foucault da un lato eredita la questione dalla Scuola di Francoforte (l’intervista è del 1978 mentre i due testi escono nel 1984), e dall’altro se ne differenzia.
Quindi, l’operazione editoriale di Mimesis acquista tutto il suo significato solo se si cala il saggio di Foucault in una rete testuale un po’ più ampia la cui trama concettuale è sì l’Illuminismo, ma il cui obiettivo principale è la Scuola di Francoforte. Riportata sul terreno del confronto con i francofortesi, la riflessione di Foucault sull’Illuminismo diventa realmente importante per le scienze sociali. 
In cerca del prosecutore ideale
Uno dei primi ad essersene accorto è stato il sociologo tedesco Axel Honneth al quale va il merito di aver posto la questione in termini rigorosi e sistematici in Critica del potere. Già  in questo testo del 1986 l’attuale direttore dell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte riconosceva nel Foucault degli anni Settanta, per intenderci quello di Sorvegliare e punire, il prosecutore della Teoria critica della società  capace di risolvere il difettoso paradigma sociologico di quest’ultima grazie ad una teoria del potere epistemologicamente vicina alla teoria dei sistemi. Honneth, però, stabilisce questa continuità  riconoscendo che «la teoria sociale di Foucault… non presenta alcun riferimento alla tradizione della Teoria critica». Detto altrimenti, Honneth ignora tutti gli indicatori testuali (l’intervista a Trombadori e i due saggi sull’Illuminismo) che, al contrario, testimoniano questi riferimenti. In virtù di tale lacuna Honneth può ritenere Foucault un prosecutore ideale della Scuola di Francoforte poiché ne prolunga la ricerca emendandola degli errori e può avvicinarlo alla produzione critica del solo Adorno.
Gli interventi sull’Illuminismo dimostrano, al contrario, due cose: la preferenza di Foucault per Horkheimer e la distanza che ha voluto mettere tra sé e la teoria critica. 
In primo luogo, Horkheimer. Aprendo Che cos’è l’Illuminismo? il filosofo francese dice che a rispondere alla domanda, nel vasto panorama culturale tedesco tra il XIX e il XX secolo, c’è stato anche Horkheimer. In precedenza, nell’intervista a Trombadori, diceva di aver letto della Scuola di Francoforte «qualche testo di Horkheimer» e di questi, infatti, sembra citare, del saggio Lo Stato autoritario, quel passaggio in cui si sostiene che con il socialismo reale, quindi con il capitalismo integrale dello Stato sovietico, «Il regolamento della fabbrica si è esteso a tutta la società ». Quindi, a differenza di quanto sostiene Honneth, non solo Foucault conosce i testi della tradizione della teoria critica, ma in particolare ha letto quelli del primo Horkheimer, cioè di colui che, più di Adorno, si era impegnato a fare del materialismo storico una teoria sociale.
In secondo luogo, la distanza dalla Scuola di Francoforte. Come la realizza Foucault? Sempre in Che cos’è l’Illuminismo, il filosofo francese dice che la novità  introdotta da Kant con la sua riflessione sull’Illuminismo consiste nel proporre un’interrogazione sul presente. Con questo chiedersi cosa sia la nostra attualità , l’Illuminismo definisce «la modernità  come un atteggiamento». Essere moderni, allora, significa interrogarsi continuamente sull’appartenenza al proprio presente facendo in modo che questa interrogazione diventi un’occasione per reinventarsi. La cosa estremamente interessante è che Foucault porti come esempio di questo atteggiamento moderno e illuminista quello del poeta Baudelaire: «L’uomo moderno, per Baudelaire… è colui che cerca di inventare se stesso… Essere moderno non significa accettare se stessi per quel che si è nel flusso dei momenti che passano; significa assumere se stessi come oggetto di un’elaborazione complessa». Il soggetto, moderno e illuminista, è pensato da Foucault come un qualcosa che si inventa, si elabora, si trasforma, per dirla con un lessico ancora più moderno, si metamorfosizza.
Soggettività  molteplici
Questo è il punto in cui il filosofo francese, pur muovendosi ancora all’interno dell’orizzonte concettuale aperto dalla Scuola di Francoforte con la riflessione sull’Illuminismo, ne segna la differenza. Nell’intervista a Trombadori, è vero che Foucault riconosce i meriti dei francofortesi e il fascino che esercitano su di sé, al punto che, dice, a conoscerli da giovane avrebbe passato il suo tempo a non fare altro che commentare le loro opere, ma è pur vero che ne critica aspramente alcuni concetti fondamentali. Tra questi c’è quello cruciale di soggetto. A suo parere «la concezione del soggetto adottata dalla Scuola di Francoforte era molto tradizionale, di natura filosofica; era decisamente impregnata di umanismo marxista». Questo comporta che i francofortesi, seguendo l’idea marxiana dell’uomo come produttore dell’uomo, arrivano a concepire tale produzione alla stregua di quella della ricchezza, del valore e degli oggetti dall’uso strettamente economico, e di conseguenza, pensano che ci sia un’essenza immutabile dell’uomo che vada liberata da questo sistema produttivo-repressivo. A tutto ciò Foucault oppone l’idea che «nel corso della loro storia, gli uomini non hanno mai smesso di auto-costruirsi, sarebbe a dire di spostare continuamente la loro soggettività , di costruirsi in una serie infinita e molteplice di soggettività  differenti». 
Quando Foucault, allora, in Che cos’è l’Illuminismo, attraverso Baudelaire, sostiene che il soggetto moderno e illuminista è frutto di un’invenzione e di una continua metamorfosi, in realtà  non sta facendo altro che proporre questa soggettività  in divenire come differente da quella immutabile della Scuola di Francoforte. Mentre Honneth, non conoscendo i testi foucaultiani sull’Illuminismo, ha facile gioco a stabilire la continuità  tra Sorvegliare e punire e la teoria critica, chi li conosce può affermare che tra i due paradigmi, rispetto alla questione decisiva della soggettività , c’è solo rottura: «ma non cedo sull’essenziale. È qua che c’è incompatibilità  con la Scuola di Francoforte».
Dalla riflessione di Foucault sull’Illuminismo la teoria sociale ha molto da guadagnare: in termini generali, perché offre una prospettiva diversa da quella classiche sui processi della modernità  ponendo al centro di questi non tanto la burocrazia e la visione negativa della tecnica, ma le forme di vita, gli atteggiamenti di pensiero e i modi di comportamento. Da un punto di vista particolare, perché offre una visione della soggettività  come un qualcosa da farsi, inventare e trasformare, piuttosto che quella di un individuo meccanicamente derivato dall’organizzazione sociale.

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SCAFFALE
La democrazie di Charles Sabel

Charles Sabel è un outsider letto però con vorace attenzione dagli altri storici dell’economia. Il suo libro più noto, «The second industrial divide» (pubblicato in Italia da Etas), proponeva la tesi che sotto la cenere della grande fabbrica e dell’organizzazione scientifica del lavoro, covava il fuoco di modi di produzione alternativi che avevano nelle piccole e medie imprese il loro luogo ideale. Al di là  delle previsioni di Sabel, smentite da quanto accaduto nel capitalismo, la sua provocazione aveva colto nel segno. L’impresa ha infatti conosciuto una profonda trasformazione, mentre il taylorismo a lascito il posto ad altre organizzazioni del lavoro. Docente di lungo corso, Sabel ha concentrato la sua attenzione ad un altro aspetto: la relazione tra globale e locale a partire delle forme di governo locale. La provocazione riguarda il fatto che a livello locale abbiano preso forma esperienze inedite di governo del territorio che miscelano democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Collante tra questi due forme di governo sono le forme di governance messe in campo della globalizzazione capitalistica. Il volume che raccoglie questa provocazione è stato recentemente pubblicato da Armando editore con il titolo «Esperimenti di nuova democrazia». Oltre i testi di Sabel, il libro propone anche interventi di altri studiosi. Da segnalare quello scritto da Jonathan Zeitlin, da sempre collaboratore di Sabel e autore di un altro fortunato libro «A cosa servono i padroni», pubblicato da Bollati Boringhieri.

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