Il rebus dei centri per l’impiego e la concorrenza dei privati

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La qualità  del loro lavoro è differente da zona a zona e conta moltissimo la professionalità  e l’impegno dei singoli. Nella maggioranza dei casi i centri sono subissati di adempimenti amministrativi legati all’aumento della cassa integrazione. Di conseguenza resta poco tempo per dedicarsi alle politiche attive del lavoro e non è un caso che solo il 2,6% degli occupati dipendenti sia stato assunto in Italia tramite un centro per l’impiego. A ingarbugliare la matassa c’è anche una delicata questione di competenze che ha visto i centri passare dall’orbita delle Regioni a quella delle Province con l’evidentissimo rischio nel futuro immediato di non saper più che da parte stare. L’assessore toscano al lavoro, Gianfranco Simoncini, che coordina l’attività  della Conferenza delle Regioni in questa materia, sostiene che tra qualche mese il sistema dei centri si troverà  davanti a un gigantesco problema di risorse perché i flussi di finanziamento europei, nazionali e provinciali si sono esauriti. Le statistiche comparate dicono che l’Italia ha un quoziente disoccupati/operatori basso e quindi ci sarebbe da potenziare i centri per l’impiego con un’infornata di nuove assunzioni. Un’ipotesi di questo tipo non è però all’ordine del giorno e allora bisogna far fuoco con la legna che c’è.
La chiave per quadrare il cerchio sta nel rapporto tra pubblico e privato. Di fatto in questi anni è cresciuto molto il peso delle agenzie private che rispondono ai nomi di Gi Group, Adecco, Ranstadt, Manpower, Quanta e così via. La presenza sul territorio, specie nel Centro nord, è visibile e grazie al loro retroterra culturale hanno rispetto all’operatore pubblico una marcia in più: curano la parte commerciale, si rivolgono alle imprese che hanno intenzione di assumere e in outsourcing curano tutta la fase di selezione e individuazione dei prescelti. In più con il meccanismo dello staff leasing assumono direttamente operai e impiegati che poi affittano temporaneamente alle aziende. In diversi casi sul territorio tra le aggressive agenzie private e il pachiderma pubblico si è stabilito un modus vivendi di collaborazione. In altre situazioni magari succede il contrario, con gli operatori pubblici che guardano in cagnesco i privati. Il tesoretto che i centri per l’impiego custodiscono gelosamente è rappresentato dai dati dei disoccupati. A rendere ancor più complesso il quadro degli attori in campo c’è Italia Lavoro, l’agenzia pubblica nazionale per le politiche attive. Dovrebbe avere un ruolo centrale per assistere le amministrazioni periferiche ma con l’attuale sfasatura Regioni/Province finisce per giocare solo a bordo campo, quasi non fosse anch’essa «un pezzo di Stato».
Che fare, dunque? Anche Simoncini non vede alternativa alla cooperazione pubblico-privato ma ad alcune condizioni. I dati devono rimanere «statali» così come il pubblico deve avere lo scettro del monitoraggio e dell’accreditamento dei privati. «Bisogna evitare che loro facciano i collocamenti facili e a noi restino le situazioni più delicate e complesse». Quanto al dilemma amministrativo tra enti locali l’assessore opta decisamente per un ritorno in casa delle Regioni. Federico Vione, amministratore delegato di Adecco Italia, sostiene che è più efficace per lo Stato appoggiarsi ai privati in regime di autorizzazione pubblica piuttosto che continuare a investire nei centri per l’impiego. A questi ultimi dovrebbe restare gli adempimenti normativi e «l’ascolto» mentre le politiche commerciali dovrebbero essere assolte dai privati perché «noi sappiamo dare stabilità  ai lavoratori e flessibilità  alle aziende». Per rimborsare alle varie Adecco le spese che oggi sostengono in orientamento e formazione lo Stato dovrebbe riconoscere loro una remunerazione per ogni disoccupato collocato al lavoro. Più ardua si presenta l’occupabilità  del neo-assunto più il rimborso dovrebbe essere lauto. Infine Paolo Reboani, amministratore delegato di Italia Lavoro, pensa che il nuovo sistema misto dovrebbe avere come chiave la sussidiarietà . E propone la creazione di una rete di collaborazione tra pubblico e privato che semplifichi le procedure amministrative e sia allargata a scuole, università , fondi professionali, enti bilaterali e mondo del no profit. A governare la rete dovrebbe essere un’agenzia nazionale e federale che dovrebbe coordinare i pubblici e i privati e dare le linee di indirizzo per i vari segmenti della disoccupazione.
P.S. La discussione in corso dovrebbe sfociare nella riorganizzazione del circuito della ricerca di lavoro. Perché una cosa è certa: oggi è largamente inefficiente.
Dario Di Vico


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