Il Pd si spacca sulla legge elettorale poi in aula dice no al Mattarellum

by Sergio Segio | 30 Maggio 2013 4:32

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ROMA — Riparte per l’ennesima volta il treno delle riforme. Questa volta ci provano Enrico Letta e Angelino Alfano con un percorso nuovo disegnato ieri in Parlamento con l’approvazione di due mozione proposte da Pd, Pdl, Scelta Civica e Centro democratico. Documenti votati a larga maggioranza — 436 sì alla Camera, 224 al Senato — che prevedono un esito entro 18 mesi. Calcolati a partire da settembre. Un risultato arrivato nonostante il conflitto e lo scontro nel Pd sulla legge elettorale provocati da una mozione trasversale di Roberto Giachetti, firmata da un centinaio di deputati, che chiedeva di tornare subito al Mattarellum. Proposta «intempestiva », «atti di prepotenza su norme transitorie» che mettono a rischio le riforme, ha commentato Anna Finocchiaro. Un problemache fatto ballare Pd e maggioranza per tutta la giornata. Perché il Pdl non ne vuole sapere di modificare la legge elettorale prima di avere definito il modello di governo. Al punto che Renato Schifani ha detto che il governo rischiava.
Letta è corso ai ripari. Ha invitato Giachetti a ritirare il testo perché «mettere il carro davanti ai buoi vuol dire far deragliare il carro». Molti dei firmatari democratici hanno così ritirato l’adesione, Giachetti però, dopo un’assemblea del gruppo, ha insistito per il voto. Alla fine il Pd e Pdl hanno bocciato il ritorno al Mattarellum, ma lui ha incassato ben 139 sì. Tappata questa falla, nel Pd si è aperto subito un altro fronte: una lettera di 43 parlamentari, tra cui la Bindi e Civati, critici sul metodo che si sta seguendo.
In serata, infine, è arrivato Matteo Renzi a chiedere rapidità  sulla legge elettorale. Altrimenti, dice, «il governo di larghe attese diventa governo lunghe attese». «In Parlamento — aggiunge — hanno la tendenza a fare un po’ di melina». E «c’è un eccesso di democristianeria nel governo, e non di quella buona. Una parte di liturgia democristiana talvolta mi pare eccessiva».
Letta e Alfano però hanno incassato il via libera ad una legge costituzionale per fare scrivere le riforme da una commissione di 40 membri scelti nelle due commissioni Affari costituzionali.
Ma poi la parola tornerà  a Camera e Senato che discuteranno il progetto con possibilità  di emendarlo. Un lavoro in cui il Parlamento sarà  assistito da un comitato di esperti nominato dal governo. E alla fine, ha garantito Letta, ci sarà  il referendum confermativo.
Il premier nei suoi interventi ha puntato sull’urgenza delle modifiche e sulla necessità  che siano condivise. Anche alla luce del recente boom delle astensioni. «È un drammatico campanello d’allarme. Non possiamo accettare che un cittadino su due non vada a votare senza porci una riflessione», ha detto Letta. Il premier ha collocato le modifiche costituzionali allo stesso livello di quelle economiche. «È un obiettivo alla portata di tutti noi — ha detto — è un’occasione storica, questa volta non si può scherzare». Letta ha più volte richiamato il suo discorso sulla fiducia e ha concluso con un monito: «Non è immaginabile che si continui facendo finta di niente che si finga di fare le riforme, di litigare sulle riforme da fare non combinando nulla».
Invito netto. Ma sono arrivati dei distinguo. Sel e M5S hanno votato contro la maggioranza. I socialisti di Riccardo Nencini si sono astenuti dopo che Letta ha respinto un ordine del giorno che chiedeva un’Assemblea costituente. Astenuti anche i Fratelli d’Italia. La Lega, invece, ha incassato il sì del governo e l’approvazione della sua mozione.

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