by Sergio Segio | 3 Maggio 2013 7:01
ROMA — Gianni Cuperlo, classe 1961 (di se stesso ama dire, scherzando: «Sono nato lo stesso anno di Obama»), ex segretario della Fgci, ex dalemiano amato anche dagli antidalemiani, deputato del Pd, colto, intelligente e autoironico ha deciso di scendere in campo per candidarsi alla segreteria del partito, all’assemblea nazionale dell’11 maggio.
Sembra dunque cadere ormai definitivamente l’ipotesi di mettere alla guida di largo del Nazareno un reggente. È un’idea, questa, che adesso è caldeggiata soltanto da pochi. Da Enrico Letta e Dario Franceschini, per esempio. Il presidente del Consiglio e il ministro per i rapporti con il Parlamento, infatti, temono che il dualismo tra partito e governo possa alla lunga indurre all’instabilità , perciò preferiscono un Pd senza un leader forte. Franceschini, tra l’altro, in questa fase fa anche le veci dei capigruppo, che sono stati quasi esautorati dopo le dimissioni di Bersani e l’avvento del nuovo esecutivo, nonostante Luigi Zanda, ieri, abbia ripresentato la sua vecchia proposta di mettere in Costituzione l’ineleggibilità per figure come quella di Berlusconi.
Anche Matteo Renzi non impazzisce di gioia per l’ipotesi Cuperlo. All’inizio il sindaco di Firenze aveva preso in considerazione l’idea di una reggenza affidata all’ex segretario della Cgil Guglielmo Epifani. Ma poi aveva cambiato idea e sembrava orientarsi sulla proposta, sostenuta da una fetta del Pd, si affidare le redini al capogruppo alla Camera Roberto Speranza. Ma l’idea della reggenza non sfonda nel mondo ex Pci. E tanto meno tra i segretari di federazione e gli altri dirigenti periferici, costretti a confrontarsi ogni giorno con i militanti e gli elettori scontenti. Sono i quadri locali che sollecitano un leader. E il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti si fa portavoce di queste esigenze: «L’ipotesi di una reggenza è un errore imperdonabile. Basta con i tatticismi e le mediazioni al ribasso che rischiano di condannarci alla paralisi: serve subito un segretario».
Seduto su un divanetto alla Camera dei deputati, Cuperlo alterna un incontro a una chiacchiera al telefono. In mattinata vede Stefano Fassina, nel pomeriggio ha un colloquio con una mini delegazione di «giovani turchi» e si apparta con il commissario del Pd calabrese, Alfredo D’Attorre.
In genere schivo, questa volta Cuperlo non si sottrae: «Abbiamo davanti due strade. La prima consiste nel trovare qualcuno che stia un po’ di mesi a capo del Pd e poi si vede che succede. La seconda, invece, è più impegnativa ed è una vera e propria sfida: è quella di eleggere un segretario a tutti gli effetti che si metta subito all’opera per ricostruire il partito». È superfluo dire quale sia la strada che ha in mente Cuperlo. Comunque lui lo fa capire benissimo: «Dobbiamo tornare a parlare al nostro elettorato, dobbiamo ripensare la sinistra, non possiamo continuare così. Lì c’è Berlusconi che dice quello che vuole, che lascia intendere chiaramente quali sono gli obiettivi del centrodestra, di qui, invece, non si sa che cosa ci sia. Dobbiamo ridarci assolutamente un’identità . Perché, finalmente, abbiamo un governo, ma ora quello che ci vuole è un partito».
Cuperlo ne è più che convinto. E ritiene che sia giusto dividere la figura del leader da quella del candidato premier: «Il segretario deve essere scelto dalla comunità degli iscritti, il premier dagli elettori nelle primarie». E Cuperlo ha le idee ben chiare anche su un’altra cosa. I renziani chiedono che il segretario eletto l’11 maggio si impegni a non ricandidarsi al congresso prossimo venturo (previsto per l’autunno 2013), ma il deputato del Pd obietta: «C’è il precedente Franceschini: anche lui, quando venne eletto l’assemblea nazionale, promise di non ricandidarsi e poi invece fece le primarie contro Bersani…».
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