Il muro contro muro un alibi per eludere i problemi irrisolti
Il governo si staglia come parafulmine di forze politiche che promettono molto, troppo, ai propri elettori. E vedendo che sarà impossibile raggiungere risultati sproporzionati rispetto alla crisi, minacciano di far saltare tutto. Non bastasse, in una fase di tensione permanente succede che il capogruppo al Senato del Pd, Luigi Zanda, rilanci l’ ineleggibilità di Silvio Berlusconi e si scagli contro una sua eventuale nomina a senatore a vita, scatenando la reazione del Pdl che lo accusa di usurpare anche il potere decisionale del Quirinale in tema di laticlavio. Zanda rivendica la sua «opinione personale». Ma è un’altra pietra contro la tenuta di una maggioranza precaria e con margini di manovra limitati. Non deve sorprendere che ieri il presidente del Consiglio, Enrico Letta, abbia avvertito da Varsavia, dove era in visita ufficiale, che oggi il governo non approverà nessun «decreto dei miracoli». La volontà di abbinare rigore e crescita è disperata; ma finisce per essere frustrata dall’esigenza di non discostare l’Italia dagli impegni europei. Aspettarsi misure in grado di rovesciare una tendenza negativa che è dell’Ue, non solo italiana, significherebbe fingere soluzioni tuttora introvabili. L’unico obiettivo realistico è quello di approvare provvedimenti che arginino la recessione; e riducano le falle di un sistema sovrastato e delegittimato dalla disoccupazione, soprattutto giovanile.
Per questo, anche sul rifinanziamento della cassa integrazione saranno possibili rimedi a breve termine. E sulla sospensione dell’Imu, rivendicata dal Pdl come impegno elettorale, sarà necessario un compromesso al ribasso. Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera, minaccia addirittura una crisi di governo. Sostiene che se entro agosto non sarà riformata l’intera tassazione sugli immobili, Enrico Letta sarà mandato a casa. Forse alcune minacce alla fine saranno postdatate, però. L’ipotesi è che l’Imu sulla prima casa slitti a settembre-ottobre: almeno a sentire il ministro degli Affari Regionali, Graziano Del Rio, dopo l’incontro con l’Anci, l’organizzazione dei Comuni italiani; e che non riguardi anche le imprese.
È la conferma implicita che per il momento il decreto potrà rispondere alle promesse di Berlusconi solo parzialmente: non per cattiva volontà ma perché manca la copertura finanziaria. «Era necessario spostare la data» del versamento dell’Imu e «sospenderla per rilanciare l’edilizia e aiutare le famiglie», ha spiegato ieri il premier. Il suo tentativo è di smussare gli attacchi e la carica polemica con la quale vengono portati contro Palazzo Chigi. D’altronde, è l’unico modo per impedire che la maggioranza si spezzi e precipiti verso le urne. Ma il gioco promette di farsi pesante. Lo scontro fra la magistratura e il centrodestra non accenna a rientrare. E il comunicato col quale l’Anm ieri si è lamentata perché avrebbe voluto maggiore appoggio dalle istituzioni contro le accuse berlusconiane alla Procura di Milano, acuisce le polemiche. Il Cavaliere fa sapere che rinuncerà alle manifestazioni di piazza, per evitare altri incidenti come quelli della settimana scorsa a Brescia. Parteciperà solo alla chiusura della campagna elettorale del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il 24 maggio. Ma esiste una filiera che bilancia e smentisce queste cautele, legando in modo preoccupante la durata del governo alle sentenze che riguardano Berlusconi. Uno dei suoi avvocati, Piero Longo, deputato del Pdl, arriva a dire che «se al giudizio della Corte di Cassazione Berlusconi fosse interdetto dai pubblici uffici, il governo forse cadrebbe un secondo prima dell’interdizione». È la «pancia» del partito che brontola, così come Zanda ha parlato a nome di tutti gli antiberlusconiani della sinistra. Sono gli orfani di un muro contro muro che il governo tenta di mettere tra parentesi almeno per un po’. Ma queste voci oltranziste dicono che la mediazione rimarrà un esercizio necessario quanto difficile.
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Comincia una fase di dimagrimento forzato: meno fondi, meno competenze, meno incarichi, e libertà di manovra seriamente ridotta. L’accerchiamento degli enti locali che il decreto approvato ieri di Palazzo Chigi prefigura, chiude una fase durata oltre un decennio: da quando il centrosinistra impose al Parlamento con lo scarto di una manciata di voti una riforma costituzionale che ampliava a dismisura l’autonomia soprattutto delle Regioni.