Il governo costretto a difendersi dal «fuoco amico»

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Piuttosto, è servita a mostrare la filiera di quanti, in entrambi i partiti, lavorano perché Enrico Letta possa andare avanti; e quanti, invece, mirano a mettere in difficoltà  la coalizione. Riproporre l’ineleggibilità  di Silvio Berlusconi, come sembrano volere non solo i parlamentari del Movimento 5 Stelle ma anche esponenti del Pd, significa boicottare o comunque mettere in tensione la collaborazione col centrodestra. E, specularmente, proporre metà  pena per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, come ha fatto il Pdl, ha effetti non diversi.
L’aspetto singolare e significativo, è che sia toccato non a esponenti avversari ma a Pd e Pdl smentire i propri compagni di partito e far prevalere l’esigenza di stabilità . Il risultato è stato quello di bloccare al Senato la nomina del presidente della Giunta per le immunità  e le elezioni, prevista per ieri; e di riesumare il fantasma di accordi fra spezzoni della sinistra e la formazione di Beppe Grillo in chiave anti Berlusconi: sebbene proprio ieri Pd e M5S fossero ai ferri corti dopo la proposta di una legge anti movimenti presentata dal primo, e percepita come un modo di rendere difficile la presenza dei grillini alle prossime elezioni.
Ma gli episodi di ieri suggeriscono un’ulteriore riflessione: la convivenza nelle maggiori forze politiche di atteggiamenti opposti rispetto a un governo nato per necessità , sostenuto in Parlamento da Pd, Pdl e lista di Mario Monti, e privo di alternative. Eppure soggetto a continue incursioni degli alleati, divisi fra obbligo di garantire la stabilità  in una fase cruciale e tentazione di marcare la propria diversità  e sottolineare la temporaneità  dell’intesa. Sono impulsi che non rispondono soltanto a calcoli elettorali. Nascono dall’anomalia del governo Letta, e dalla voglia di tenere vivi i temi che hanno marcato storicamente le rispettive identità .
Pazienza se sull’ineleggibilità  di Berlusconi le Camere dovrebbero essere chiamate a pronunciarsi dopo che per diciannove anni il leader del centrodestra si è presentato alle urne, senza che nessuno avesse da ridire. Non a caso Pier Ferdinando Casini, capo dell’Udc, parla di «propaganda a scoppio ritardato». E pazienza se la manovra maldestra di cambiare la legge sul coinvolgimento con la mafia potrebbe favorire il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri o Nicola Cosentino. Avanzando questi due temi, alcuni settori rispettivamente di Pd e Pdl hanno inserito il loro piccolo cuneo nella maggioranza guidata da Enrico Letta. Il fatto che alla fine abbiano vinto i «guardiani» del governo, sventando dinamiche pericolose, non significa avere sradicato il problema. La «doppia lealtà » sarà  una costante.
Da questo punto di vista, sebbene sia costituito soprattutto da esponenti politici, l’esecutivo potrebbe trovarsi nelle condizioni di quello dei tecnici guidato per diciotto mesi da Monti: una coalizione appoggiata e insieme criticata dai partiti, preoccupati di bilanciare un’alleanza innaturale. È possibile che un sistema in affanno sia costretto a seguire questo percorso contraddittorio. Rimane da capire fino a quando la «doppia lealtà » sarà  mantenuta in un ambito tollerabile per la stabilità ; e quando invece finirà  per travolgerla. Beppe Grillo non aspetta altro. «Il governo durerà  fino a settembre-ottobre», prevede, «quando la Cassazione dovrà  dire sì o no» alle sentenze che riguardano Berlusconi. Eppure, la scommessa è di andare oltre e di non riconsegnare l’Italia alle tifoserie contrapposte. Proprio Berlusconi invita a non sprecare «un’occasione storica, epocale, per mettere fine a una guerra civile che c’è da troppi anni». Non sarà  facile. Ma la scommessa passa per questa strettoia.


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