Il cuore freddo della politica

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IL CONFRONTO con la folla Cinque Stelle dell’ultima vigilia elettorale è imbarazzante. Ma quello era il Grillo di ieri. Il Grillo di oggi, anche lui, fatica a colmare i buchi della più modesta piazza del Popolo, un salotto al confronto. Per non dire del comizio di Berlusconi, ampiamente disertato dal popolo di destra, nonostante l’enorme lancio pubblicitario, le migliaia di manifesti sparsi per la città  ad annunciare «Tutti al Colosseo con Alemanno e Berlusconi». Corretti qua e là  da allegre pasquinate, del tipo: «Portate i leoni».
Le piazze vuote della capitale non sono soltanto il segno che il governissimo non scalda i cuori. Sembrano tanto l’annuncio di una nuova e forse definitiva ondata di gelo intorno alla politica. Nel caos e spesso nella volgarità  dello scontro personale, le elezioni di febbraio avevano comunque sollevato qualche confusa speranza di cambiamento,
agitato le acque di una nomenclatura politica uguale a se stessa da un ventennio. Ora che il mare si è richiuso, tutto è tornato come prima, i delusi si contano a milioni in tutte le fila. Delusi di sinistra, di destra, di centro e delusi da Grillo, che a conti fatti, scontrini compresi, si è rivelato il miglior alleato dello status quo. E i delusi non vanno in piazza, stanno a casa, tanto più se c’è sciopero dei mezzi pubblici e tira vento. Molti non andranno neppure a votare domani e alla fine, fra un due per cento in più o in meno per questo o quello, vincerà  ancora una volta il partito degli astenuti.
Ignazio Marino parte favorito e ci mancherebbe, contro la peggior giunta della storia della capitale. Fare campagne elettorali non è proprio il suo mestiere e si è visto anche nel giorno della chiusura, con discorso un po’ così, concluso con l’urlo urlato: «Daje!». Uno slogan che intenerisce noi zemaniani, per quanto non fortunatissimo. Ma l’uomo è capace e intelligente ed è stato un eccellente chirurgo, esattamente quel che occorre a una città  malatissima e bisognosa di una serie di trapianti. Il principale avversario di Marino, a parte l’inconsistente Alemanno, è il Pd, che è quasi sempre il vero ostacolo dei propri candidati. Nel retropalco del comizio finale di San Giovanni il neo presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, commentava: «Bisognerebbe avvisare i nostri dirigenti che domenica votano sette milioni di italiani e quindi magari per qualche giorno potrebbero decretare il cessate il fuoco sul fronte interno. Nelle vigilie elettorali capita anche nelle zone di guerra». Intorno sfilano appunto i dirigenti, ovviamente in ordine sparso. Sono tutti molto ottimisti sul voto romano, il che non è un bel segno. Molti invece sono pessimisti sulla durata del governo Letta, che quindi potrebbe concludere serenamente la legislatura. Il segretario reggente Gugliemo Epifani, a proposito della nuova legge elettorale, ribadisce che il partito rimane favorevole al ripristino del Mattarellum e dei collegi elettorali, ma anche no, dipende. Negli anni hanno imparato un po’ tutti la tecnica dell’avversario Berlusconi, quella di stare al governo fingendo che la faccenda non li riguardi.
Alle otto e un quarto, quando il candidato Marino si decide a parlare, con il ritardo giusto per bucare le aperture dei telegiornali, dalla piazza si solleva comunque un’onda di entusiasmo. Almeno quelli che sono venuti erano contenti di stare qui, ad ascoltare qualcosa di sinistra, con Berlusconi da un’altra parte.


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