IL CAVALIERE SI ASSOLVE
C’è poco da scherzare sul format di Canale 5 La guerra dei vent’anni, un ibrido fra Un giorno in pretura, una versione made in Arcore di Report (la versione padronale del concetto di inchiesta giornalistica) e una versione soap della Piccola fiammiferaia dove una povera ragazza marocchina che «non induce nessun sentimento diverso dalla commiserazione », dice Berlusconi, racconta una storia terribile mostrando cicatrici sul suo corpo, fa piangere i commensali, chiede 57 mila euro per aprire un centro estetico in via della Spiga e salvarsi così — un modo come un altro — da una vita di assalti costanti da parte di uomini incessantemente animati da “cattive intenzioni” e trova un benefattore che, commosso, glieli dà .
C’è pochissimo da sorridere degli arredi stile tavernetta della “sala cinema” di villa San Martino e della storia della statuetta africana e dei “cannibali” da cui è nata la storiella del Bunga Bunga: per ogni scettico ci saranno venti telespettatori rapiti dalla telenovela, per ogni indignato ce ne saranno cinquanta convinti delle buone ragioni dell’ex premier, oggi rappresentato al governo dal suo vice Alfano reduce dalla manifestazione di piazza di Brescia. Per ogni spettatore sarcastico ce ne saranno cento che diranno ah però, in fondo, povera ragazza, che brutta storia, in fondo in fondo non c’è niente di male.
L’offensiva mediatica condotta in prima serata su Canale 5 è efficacissima, parla a un pubblico che non ha l’abitudine di leggere i giornali, soprattutto non “certi” giornali, e che di questa vicenda ha orecchiato qualcosa di vago, in fondo non di così grave, dalle ultim’ora che scorrono sui teleschermi nella metro, alla stazione, nei bar. Nei locali pubblici e privati, ovunque nel paese, il canale sempre acceso — è facile da verificare — è Canale 5. Una moltitudine di persone, la stragrande maggioranza degli italiani, attinge da lì le informazioni su quel che accade. Uno speciale di due ore dove la ragazza Ruby, il vero nome Karima, dice tirando su col naso «mi hanno definita prostituta ma io non mi sono prostituita mai» e racconta, vestita di un maglioncino e pettinata con coda di cavallo, di suo padre ambulante e del suo primo viaggio senza biglietto, in treno, a Milano, è una storia commovente. Punto. È la storia di una povera ragazza che mente costantemente «perché dire bugie era la mia unica difesa per difendermi da uomini di cui avevo paura». Di seguito la visita guidata in Villa, dove è del tutto chiaro che non poteva avvenire nulla di meno che innocente, Berlusconi cantava «le canzoni del suo repertorio giovanile ». Magistrati ossessionati dal sesso che fanno domande in apparenza assurde su rapporti simulati con statuette africane, testimoni che a frotte smentiscono, solo cinque che — confuse — confermano, la senatrice Maria Rosaria Rossi, assistente personale di Berlusconi, che interroga i magistrati, di nuovo Ruby che dice «ho mentito sull’età per lavorare, non volevo finire in comunità ».
Chi non capisca che tutto questo valga più di cento inchieste, che raggiunga milioni di persone in modo convincente, non ha ancora imparato niente, dopo vent’anni, della forza d’urto di Silvio Berlusconi. Che oggi mette in campo uno pseudo-speciale giornalistico, in tutto simile alle inchieste degne di questo nome, e sbaraglia di nuovo la concorrenza sul piano dell’audience, del risultato, dell’efficacia. Lo fa alla vigilia di un’udienza decisiva, all’indomani di una manifestazione di piazza contro i giudici alla quale hanno partecipato ministri del governo in carica e nello stesso giorno in cui il presidente del Consiglio Letta chiede ai ministri di non andare né in piazza né in tv, per cortesia, almeno fino alle prossime amministrative. La sproporzione di forze tra l’appello di Letta dal convento e l’offensiva mediatica del suo alleato in tv è qui, sotto i nostri e i vostri occhi. Ci parla non solo del processo Ruby e del caso di Karima, ovviamente. Ci parla piuttosto di come si costruisce il consenso, di come si manipola l’opinione pubblica. Di quello che è successo in Italia negli ultimi due decenni grazie all’assenza di una legge che regoli l’accesso in politica di chi ha la proprietà dei mezzi di informazione, grazie a chi non l’ha scritta, e ci dice — soprattutto — di quello che ci aspetta. Perché questa storia non è finita. Siamo solo all’intervallo. La riscossa, ha detto ieri Silvio Berlusconi nella sua duplice versione di lotta e di governo, è alle porte.
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