I CONTI SBAGLIATI DEI CONSERVATORI

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A questo punto l’argomentazione economica a favore dell’austerità  – del decurtare gli interventi statali a dispetto di un’economia debole – è crollata. La convinzione secondo la quale i tagli alla spesa avrebbero di fatto incentivato l’occupazione promuovendo la fiducia è venuta meno. La presunta esistenza di una sorta di linea rossa del debito che i Paesi non oserebbero oltrepassare ha dimostrato di poggiare su dei calcoli confusi e per certi versi, semplicemente, sbagliati. Le previsioni di una crisi fiscale continuano a non avverarsi, mentre quelle di un disastro determinato dalle stringenti norme di austerità  si sono dimostrate sin troppo accurate.
E tuttavia, gli appelli che invocano un’inversione della distruttiva rotta verso l’austerità  continuano a cadere nel vuoto, o quasi. Ciò riflette, in parte, gli interessi acquisiti – dal momento che una politica di austerity giova agli interessi dei ricchi creditori; e in parte la riluttanza delle persone influenti ad ammettere i propri errori. Ritengo però che vi sia un ulteriore ostacolo al cambiamento, rappresentato da un cinismo diffuso e profondamente radicato rispetto alla capacità  dei governi democratici di cambiare rotta una volta che hanno intrapreso una politica di stimolo economico.
Perlomeno in America, ci siamo quasi sempre comportati in maniera fiscalmente responsabile, con una sola eccezione – ovvero, nel caso  dell’irresponsabilità  fiscale che prevale quando, e solo allora, al potere vi sono degli irriducibili conservatori.
Negli Stati Uniti le iniziative di intervento statale mirate a incoraggiare l’economia sono di fatto rare – il “New Deal” di Roosevelt e, in misura assai minore, il “Recovery Act” del presidente Barack Obama rappresentano gli unici esempi di rilievo. E nessuna di queste due iniziative è diventata permanente – anzi: entrambe sono state ridimensionate decisamente troppo presto. Roosevelt ridusse radicalmente la propria nel 1937, gettando nuovamente l’America nella recessione; quanto agli effetti del “Recovery Act”, dopo aver raggiunto il loro culmine nel 2010 si sono affievoliti – e questo affievolimento è una delle cause principali della nostra lenta ripresa. Che dire inoltre delle iniziative pensate per aiutare coloro che sono stati colpiti da un’economia depressa? Non rischiano forse di diventare permanenti? Anche in questo caso la risposta è negativa. I sussidi di disoccupazione hanno fluttuato con il fluttuare del mercato del lavoro, e rappresentano una percentuale del Pil che è addirittura la metà  rispetto alla soglia da loro raggiunta durante un recente picco.
L’intera nozione di permanenza degli stimoli è dunque una fantasticheria camuffata da cocciuto realismo. Tuttavia, anche se non pensate che gli stimoli durino per sempre, l’economia keynesiana non afferma solo che nei momenti difficili occorre spendere in deficit, ma anche che in tempi di prosperità  sia necessario ripianare i debiti.
Inoltre, ripercorrendo la storia degli Usa dalla seconda Guerra mondiale in poi, scopriamo che dei dieci presidenti che hanno preceduto Barack Obama sette hanno terminato il proprio mandato con un rapporto tra debito e Pil più basso di quello che avevano trovato al loro arrivo alla Casa Bianca. Quali sono state le tre eccezioni? Ronald Reagan e i due George Bush. Gli aumenti del debito pubblico non riconducibili a una guerra o a una crisi finanziaria straordinaria sono dunque del tutto associati a dei governi irriducibilmente conservatori. Tale associazione ha un motivo: da tempo i conservatori Usa seguono la strategia dell’“affamare la bestia” – ovvero: decurtare le tasse in modo da privare il governo delle entrate di cui ha bisogno per finanziare le proprie iniziative sociali.
Il buffo è che oggi questi stessi conservatori irriducibili dichiarano che in un momento di crisi economica aumentare il deficit non sia possibile. Perché mai? Perché, dicono, nei momenti di prosperità  i politici non faranno ciò che sarebbe giusto fare, ovvero ripianare il debito. A quali politici irresponsabili si riferiscono? Lo avete indovinato: a loro stessi.
Mi sembra una versione “fiscale” della classica definizione del termine yiddish chutzpah – la sfacciata impudenza di colui che dopo aver ucciso i propri genitori esige comprensione perché rimasto orfano. Nel nostro caso, ci troviamo di fronte a dei conservatori che ci dicono che dobbiamo stringere la cinghia, a dispetto della disoccupazione di massa, perché in caso contrario, una volta che l’emergenza sarà  terminata, i conservatori a venire continueranno ad allargare i deficit.
Messa in questi termini, naturalmente, la situazione appare ridicola. Ma non lo è. È tragica. La disastrosa svolta verso l’austerità  ha distrutto milioni di posti di lavoro e rovinato molte famiglie. È arrivato il momento di invertire la rotta.
(Traduzione di Marzia Porta)


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