Grillo-Letta, il primo duello Il premier: basta con gli insulti

by Sergio Segio | 11 Maggio 2013 8:16

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ROMA — Enrico Letta non ama gli scontri diretti, è uomo di mediazione e non di contrapposizione. Ma il doppio attacco di Beppe Grillo, sul piano personale e su quello istituzionale, ha convinto il premier a giocare da arbitro tirando fuori il cartellino rosso: «Respingo al mittente la parola colpo di Stato. Così Grillo ferisce le istituzioni del nostro Paese».
È solo l’inizio di un duello inedito, perché è la prima volta che Letta, da premier, affronta il leader dei Cinquestelle e ne respinge le provocazioni. L’ultima a SkyTg24: «C’è stato un bel colpo di Stato e lo ribadisco, non un colpettino. Ci hanno messo in un angolo, hanno tenuto bloccato il Parlamento. Sarà  guerra all’ultimo sangue perché in tutte le commissioni mettono degli ostacoli». Fosse stato solo un affronto personale Letta lo avrebbe lasciato cadere, come è nel suo stile. Ma il premier pensa che Grillo abbia passato il segno: «È inaccettabile che parli di golpe. Usare questi termini è profondamente sbagliato, anche per il rispetto che dobbiamo portare al capo dello Stato». Moderato sì, ma questa volta Letta parla per lasciare il segno. E ricorda di quando la giornalista cilena Lucia Magi, del quotidiano La Tercera, mise Grillo in imbarazzo chiedendogli se non fosse «eccessivo» parlare di golpe, parola che a tanti cileni fa ancora gelare i polsi. Non fa sconti, Letta. Grillo lo prende in giro sulla parentela con lo zio Gianni, accusandolo di aver fatto «per vent’anni il nipote di professione» e lui per un attimo sta al gioco («veramente sono 46 anni che faccio il nipote…»), poi però si arrabbia: «Se Grillo la butta sull’insulto personale vuol dire che non ha molti altri argomenti. Lui insulta e io lavoro». E qui il premier affonda, mettendo il dito nella piaga del M5S: «Io con un decreto toglierò lo stipendio ai ministri e lui vedo che non riesce a togliere la diaria ai suoi parlamentari, che si ribellano».
Per un presidente del Consiglio battezzato sotto il segno di Napolitano il Quirinale non si tocca, ma non è solo questo il motivo che ha spinto Letta a calcare gli accenti. Da quando si è messo in viaggio per presentarsi ai capi dei governi europei, l’ex vicesegretario del Pd non fa che metterli in guardia sui rischi del populismo. Di certo Letta ha da ieri un nuovo alleato in questa battaglia: Martin Schulz, che ha parlato a Palazzo Chigi dopo l’incontro con il premier. Il presidente del Parlamento europeo ha detto di non avere «nessuna paura» del capo dei Cinquestelle e di un suo eventuale tour europeo, perché il continente è pieno di «varianti di Grillo». Letta spera che il leader del Movimento si fermi. Ma Beppe continuerà  a picchiare su Palazzo Chigi come ha fatto di nuovo ieri pomeriggio dal suo blog, mostrando tutto il fastidio per l’intromissione del premier nelle beghe del suo partito: «Un mantenuto dalla politica dal 1996 ci fa lezioni di morale. Non le accettiamo da una persona che si tiene stretti i 46 milioni di euro di rimborsi elettorali del pdmenoelle. Piglia e porta a casa, capitan Findus».
Il governo dovrà  presto fare i conti con un’altra battaglia di Grillo, convinto che un bambino che nasce in Italia da genitori stranieri non debba essere italiano: «Serve un referendum». Ma il Pd, con Livia Turco in testa, sostiene la proposta del ministro Kyenge. Il M5S è spaccato. «Grillo? È il suo punto di vista, non abbiamo ancora una linea…», prende le distanze Manlio Di Stefano. E Alessandro Di Battista: «Sono d’accordo con Beppe. Lui è il nostro megafono, ma poi a decidere siamo noi parlamentari e la rete, lui non sta in Parlamento».
Monica Guerzoni

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