Gran Bretagna, ondata euroscettica Il partito populista è al 25 per cento

by Sergio Segio | 4 Maggio 2013 6:56

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LONDRA — «Fate largo ai clown». Scherza così Nigel Farage nel leggere i risultati delle elezioni in 34 contee e aree metropolitane d’Inghilterra e una del Galles (Londra e Manchester escluse).
I conservatori, prima del voto, fiutando l’onda gli avevano gettato addosso parole di ogni genere: pagliaccio, lunatico, razzista non dichiarato, pazzoide. Ma è finita peggio di come pensassero gli strateghi di Downing Street: il «faragismo», versione d’Oltre Manica del populismo di destra, ha stravinto e lo «Uk Independence Party», un partito con 17.184 iscritti guidato dal deputato europeo ma acerrimo nemico dell’Europa Nigel Farage, esce dalle urne coi muscoli gonfi visto che diventa il terzo gruppo politico nazionale, sopravanzando i liberaldemocratici. Ha drenato tantissimi voti ai tory che perdono il 9 per cento, ha spazzato via l’estremismo del British National Party, ma qualcosa ha raccolto pure fra laburisti, nelle loro roccaforti del Nord, mettendo in cassaforte l’irritazione, il malcontento, il risentimento che trasversalmente colpiscono l’elettorato.
Il «faragismo» da fenomeno temuto diventa fenomeno reale. È un pentolone con dentro ogni tipo di suggestione e persino con qualche isolata infiltrazione nazista (ammessa dallo stesso Farage). Eppure ha sfondato ovunque. Occhi attenti avevano segnalato l’editoriale del Sun, il tabloid di Rupert Murdoch, che alla vigilia dell’urna, e per la prima volta, aveva deciso di lavarsene le mani: nessun appoggio ai tory e tanto meno, ovviamente, al centrosinistra. I fedeli guardiani (la stampa popolare) di Cameron si sono defilati e Cameron è scivolato pesantemente. Ora il premier si rimangia le male parole all’avversario Nigel Farage. E chiede scusa: «Non è una buona cosa insultare un partito che la gente ha scelto di appoggiare. Abbiamo capito la lezione». Troppo tardi.
Il premier ingoia il rospo e promette di accelerare con il referendum per uscire dalla Ue nella speranza di recuperare da qui a due anni il terreno perduto che è tanto. «Lavorerò sodo». Il «faragismo» lo richiama a destra. Lo Ukip ha colpito al cuore agitando tre slogan: no all’Europa («vogliamo il divorzio»), no agli immigrati («congeliamo per cinque anni i visti»), no ai matrimoni gay (ma sì alle unioni civili). Per Cameron una dolorosa spina nel fianco, le fronde ultraconservatrici prendono la palla al balzo per rialzare la cresta. La resa dei conti si apre.
C’erano in palio 35 Consigli di contea e di area metropolitana: i conservatori nel 2009, alla vigilia della loro marcia verso Downing Street, fecero l’en plein portando a casa la maggioranza in 28 amministrazioni locali disegnando una mappa inglese e gallese colorata di blu. Alla fine di questa tornata-test si ritrovano con dieci bandierine e 335 consiglieri in meno. Hanno ceduto una massa di consensi a destra, allo «Uk Independence Party» che sfiora il 25 per cento. Il risultato è che in 14 contee non c’è più maggioranza (quali alleanze si formeranno?), in altre tre (nel 2009 era solo una) prevalgono i laburisti che risalgono (più 8 punti rispetto al misero 12 per cento del 2009) lentamente la china, conquistano il Nottinghamshire e il Derbyshire, terre di ex fede tory ma falliscono nel Lancashire e nello Staffordshire che sono centrali nelle politiche del 2015. Un bel ribaltone e una mappa di incertezze che scombussolano i piani dei tory e che non lasciano tranquillo il centrosinistra perché il ciclone «faragista» colpisce anche qui. Sempre restando in casa laburista, ad esempio, nel collegio lasciato dal dimissionario David Miliband si votava per un nuovo parlamentare da mandare a Westminster. A South Shield dal 1935 vincono i laburisti e non hanno fallito neppure ieri ma lo Ukip è arrivato secondo e qualcosa ha eroso.
Buio pesto per i liberaldemocratici di Nick Clegg, quarto partito, meno 11 per cento. Nigel Farage, l’ex militante tory che nel 1992 sbatté la porta per protestare contro l’adesione di Londra al trattato di Maastricht, è l’unico a sorridere. Aveva 8 consiglieri nel 2009, ne ha adesso 147, con il 17 per cento dei voti in più. E può avvertire: «Che cosa accadrà  nelle elezioni generali? Una cosa è certa, nulla sarà  come prima». Il «clown» fa paura.
Fabio Cavalera

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