Governo, la Convenzione è il nuovo scoglio
ROMA — Lo descrivono convinto. Deciso a sostenere il governo che «non dovete definire “nostro” o loro”, ma “governo degli italiani”, perché deve passare l’idea che questo esecutivo è quello che serve al Paese per salvarsi, oggi è la risposta migliore che potevamo dare alla crisi».
Nonostante il malumore nel partito non sia ancora scemato, nonostante l’idea dei falchi e non solo che «ci siamo fatti legare le mani, adesso sarà più difficile imporre la nostra linea», Silvio Berlusconi con i suoi continua a predicare calma e fiducia. Ieri ha ricevuto molti esponenti del partito — buona parte in cerca di sistemazione al governo o nelle commissioni o a via dell’Umiltà —, si è occupato dei tutte le sue vicende giudiziarie (è confermato che l’avvocato Coppi lo assisterà in Cassazione). A tutti ha mostrato di voler essere «un leader responsabile», quello che serve per restare saldamente al centro della scena. E se la linea del partito pare ambivalente — la compagine governativa si muove all’unisono con il premier, quella di partito tuona e a volte minaccia — il Cavaliere si muove agilmente tra due linee che paiono contrapposte tenendo la barra del sostegno all’esecutivo.
Lo fa tenendo alta la tensione sui propri temi forti. E nel giorno in cui dall’Europa arriva l’avvertimento a non lasciarsi andare a spese azzardate come sarebbe quella dell’Imu, Berlusconi si fa intervistare dal Tg5 per rassicurare tutti: «È anche una prova di lealtà nei confronti dei cittadini a cui abbiamo diffusamente illustrato questi provvedimenti per togliere l’Imu in campagna elettorale, per cui noi non potremmo veramente far parte di un governo, o anche soltanto sostenere dall’esterno un governo che non tenesse fede alla parola che noi abbiamo dato», e questo perché «perderemmo completamente la faccia e non credo che sia assolutamente il caso».
Insomma, i patti sono chiari. Ma il Cavaliere si guarda bene dall’imporre scadenze ai suoi aut aut. Si dovranno fare i conti, serve tempo. La paura nel partito è che, aspettando troppo, ci si ritrovi con il Pd che «ci trascina fino ad ottobre e poi ci dice che non si può fare granché: a quel punto sarebbe troppo tardi per votare e finiremmo alla primavera, con le Europee, dando loro il tempo per riorganizzarsi…». Obiezioni realistiche, ma che oggi Berlusconi tiene a bada. Dicendosi sicuro che, comunque, la golden share sul governo resta la sua.
D’altra parte un passaggio cruciale sulla tenuta del governo e le sue prospettive si avrà a breve, su un altro delicatissimo terreno, quello delle riforme. Perché nel Pdl continuano a pretendere a gran voce la presidenza della Convenzione per le Riforme che dovrebbe nascere entro maggio: «Ci mancherebbe altro — dice Cicchitto —, dopo che si sono presi le presidenze delle Camere, in parte il capo dello Stato, il premier e 8 ministri di partito e vari di area… Quella presidenza è nostra». Un concetto che aveva già lanciato nei giorni scorsi il ministro Quagliariello: «Per la vera pacificazione la commissione vada a un esponente di centrodestra», e che fa pensare come siano verosimili le voci insistenti di chi nel Pdl giura che «ci hanno promesso che l’avremmo guidata noi».
Se andrà così, difficilmente il Pdl potrebbe sostenere un presidente diverso da Berlusconi, che si è già candidato ufficialmente. Ma mentre, a sinistra, Stefano Rodotà si tira fuori da ogni ipotesi sulla guida della Convenzione definendola «un cattivo servizio alla Costituzione», cosa succederebbe se, come fa capire Luciano Violante, il Pd non accettasse il Cavaliere perché sarebbe sbagliato avere ministro e presidente dello stesso partito? «Allora la convenzione non nascerebbe proprio», dice deciso Cicchitto. Un punto cruciale questo, tanto che Sandro Bondi avverte: se fallisse il progetto di riformare lo Stato «tutte le forze politiche che sostengono il governo ne avrebbero un danno incalcolabile», e lo stesso esecutivo subirebbe un grave «contraccolpo». L’avviso c’è, adesso tocca al Pd decidere il da farsi.
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