by Sergio Segio | 9 Maggio 2013 6:22
ROMA — Ha retto poco più di 24 ore la Linea Maginot eretta dagli 8 senatori del Pd della commissione Giustizia del Senato per impedire l’ascesa della «toga azzurra» Nitto Francesco Palma alla poltrona della presidenza, così come era stato concordato dai partiti della maggioranza. Sono state 24 ore in cui ha vacillato l’alleanza di governo perché il Pdl — accusando i democratici di non rispettare i patti — ha tenuto duro sul «candidato concordato con il Pd». E, alla fine, il partito di Silvio Berlusconi l’ha spuntata anche se la pattuglia dei commissari democratici ha insistito nel votare scheda bianca: «La nostra battaglia ideale l’abbiamo portata comunque fino in fondo, anche se non avevamo i numeri per eleggere un nostro presidente perché, a parità di voti, alla fine passava Palma che è più anziano di me», ammette al termine di una giornata lunghissima il potenziale candidato alternativo, Felice Casson del Pd.
Dopo 24 ore di calvario, dunque, l’ex Guardasigilli Nitto Francesco Palma è stato eletto presidente della commissione Giustizia del Senato. Per sbloccare lo stallo, però, è stato necessario procedere a un terzo e a un quarto scrutinio all’esito del quale il senatore del Pdl è passato con 13 voti battendo il candidato grillino Mario Giarrusso (4 voti). Il Pd, in apparenza, non ha fatto marcia indietro. Però fin dalla mattina — nel corso di una lunga riunione con il capogruppo, Luigi Zanda — si era capito che stava per esaurirsi la rivolta degli 8 commissari contro l’accordo delle presidenze siglato da Pd e Pdl. Se, infatti, ci fosse stato un vero ballottaggio Palma-Casson il probabile risultato di parità avrebbe premiato l’azzurro che è più anziano. Per questo il Pd ha insistito sulla «battaglia ideale» della scheda bianca e poi ha puntato su quella molto più concreta dell’accerchiamento del nuovo presidente. Palma, infatti, sarà affiancato da due vice presidente tosti: l’ex pm Felice Casson del Pd, appunto, e il grillino Maurizio Buccarella. E, a completare l’ufficio di presidenza, è stata eletta anche la giornalista Maria Rosaria Capacchione (Pd) che aveva commentato: «Se io votassi Palma non potrei più tornare a casa, in Campania…».
Per Palma, fin dall’inizio, erano schierati, oltre ai 7 senatori del Pdl, i due leghisti, l’esponente di Gal, i due di scelta Civica e Zeller della Svp. Poi, però, il leghista Massimo Bitonci ha voluto sottolineare davanti alle telecamere che il suo partito stavolta «aveva votato scheda bianca». Come dire, due dei voti per Palma potrebbero essere attribuiti ad altrettanti senatori del Pd. E allora è partita la caccia ai potenziali «lealisti» che però si è fermata davanti alle considerazioni che Rosanna Filippin è lettiana, che la collega Nadia Ginetti è renziana, che Luigi Manconi ha una storia da autentico garantista. Mentre i più duri con la candidatura di Palma, oltre a Casson, sono stati Giuseppe Lumia, Monica Cirinnà , Maria Rosaria Capacchione e Sergio Lo Giudice per il quale «Palma rappresenta un rospo amaro perché nella sua storia ci sono le leggi ad personam per Berlusconi». Ora, però, molti si chiedono se il caso Palma avrà conseguenze. «Le istituzioni soffrono la crisi del Pd», avverte il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri. Commenta Giuseppe Esposito, vice presidente dei senatori del Pdl: «È grave e preoccupante il comportamento del Pd che con queste continue piroette genera perdite di tempo che il Paese non può certamente permettersi». Per Andrea Olivero (Scelta Civica), che non ha mai fatto mancare i voti a Palma, «si è trattato di una brutta pagina della vecchia politica».
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