Fassina all’Economia. Il ritorno di Miccichè

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ROMA — L’accelerazione c’è stata, improvvisa, a metà  pomeriggio quando al tavolo della trattativa sui sottosegretari e i presidenti delle commissioni parlamentari — quella condotta da 5 giorni da Dario Franceschini e da Denis Verdini — si è capito che la maggioranza rischiava di vacillare sotto la pressione delle richieste dei partiti per le 68 poltrone in ballo: 30 sottosegretari, 10 viceministri e 28 presidenti di commissione. A quel punto, è stato avvertito il premier Enrico Letta e, dopo il via libera, è scattata la convocazione del consiglio dei ministri serale. Con un’avvertenza, però: le due trattative — quella dei sottosegretari e quella delle commissioni — non potevano marciare insieme.
Per cui Enrico Letta ha dovuto accontentarsi di chiudere solo una parte del pacchetto e di dare il via alle 40 nomine. Numeri nei limiti imposti dalla legge del 2009, sottolinea Palazzo Chigi. E nel segno dell’austerità : «Ai sottosegretari parlamentari non verrà  corrisposto lo stipendio aggiuntivo…». Mentre il trattamento dei vice ministri sarà  «uniformato a quello dei sottosegretari». La squadra di governo è comunque più numerosa rispetto a quella di Monti che aveva 26 «vice».
Tra i sottosegretari alla Presidenza del consiglio, per ora, non compare quello che funge da autorità  delegata per i servizi segreti che Monti aveva affidato al prefetto Gianni De Gennaro. Mentre Antonio Catricalà , già  sottosegretario alla presidenza con Monti diventa vice ministro dello Sviluppo economico.
Ora nella squadra dei sottosegretari a Palazzo Chigi ci sono anche il senatore abruzzese Giovanni Legnini (Pd) che prende la delega per l’editoria e il programma di governo, Sesa Amici (Pd) e Sabrina De Camillis (Pdl) che aiuteranno il ministro Dario Franceschini a tenere i rapporti con il Parlamento, Micaela Biancofiore (Pdl) alle pari opportunità , Walter Ferrazza (Affari regionali). E c’è, sorpresa, anche Gianfranco Micciché (Grande Sud) con delega alla Pubblica amministrazione e semplificazione.
Intorno al ministero dell’Economia si è svolta una partita nella partita. Per il Pd c’è il vice ministro Stefano Fassina, braccio destro di Bersani e responsabile economico del partito seppure dimissionario, con la delega alla riforma fiscale. Mentre il Pdl ha insistito e ottenuto la nomina di Luigi Casero a vice ministro. Arrivano in via XX settembre Pier Paolo Baretta (Pd) e Alberto Giorgetti (Pdl). Invece Simona Vicari (Pdl) sarà  sottosegretario allo Sviluppo. Alla giustizia vanno un magistrato e un avvocato: il primo, Cosimo Ferri, leader di Magistratura indipendente, sponsorizzato dal Pdl, mentre il secondo è il bersaniano Giuseppe Beretta. Alla Difesa ci sono Roberta Pinotti (Pd) e Gioacchino Alfano (Pdl). Agli Esteri, invece, arrivano come vice ministri Lapo Pistelli (Pd) e Bruno Archi (Pdl) mentre Mario Giro (Scelta Civica) è sottosegretario. Confermata come viceministro Marta Dassù che faceva parte della squadra di Monti.
Al Viminale arriva Filippo Bubbico, uno dei 10 saggi chiamati da Napolitano, che tutti davano per certo al ministero dell’Economia. Dunque restano fuori dalla squadra di governo i due esperti di Interni del Pd, Emanuele Fiano ed Ettore Rosato, e non ce la fa anche Donatella Ferranti che fino alla vigilia in corsa per la Giustizia. Completano la squadra del ministero dell’Interno Domenico Manzione (Pdl) e Giampiero Bocci (Pd). Alla Cultura va Ilaria Borletti Buitoni (Scelta civica) e Simonetta Giordani mentre il montezemoliano Carlo Calenda (Scelta civica) è viceministro allo Sviluppo economico. Ai Trasporti va il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca (Pd) e all’Agricoltura Maurizio Martina (Pd) e Giuseppe Castiglione (Pdl) mentre al Lavoro è confermata Cecilia Guerra (viceministro), accompagnata da Jole Santelli (Pdl) e Carlo Dell’Aringa (Pd). Infine la scuola e l’Università : Gabriele Toccaffondi, Gianluca Galletti (Udc) e Marco Rossi Doria (confermato). Alla Salute va Paolo Fadda (Pd).
Dino Martirano


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Non scherziamo con le parole. Nessun «golpe» è in atto. E al presidente della Repubblica va riconosciuto il gesto di generosità  compiuto nell’accettare la sua ricandidatura dopo aver resistito a questa scelta. Non solo per questioni anagrafiche ma perché certo non gli sfugge come la sua rielezione significhi la perpetuazione di un’anomala funzione di supplenza.

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