Export e formazione continua E la locomotiva tedesca va

by Sergio Segio | 16 Maggio 2013 7:29

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Queste cifre si aggiungono ai risultati negativi degli ultimi quattro mesi del 2012, in cui il Pil è calato, secondo un’ultima revisione, dello 0,7 per cento. Ma a Berlino nessuno vuole drammatizzare e si continua a puntare sui dati finali del 2013, come del resto aveva fatto qualche settimana fa il ministro dell’Economia Philipp Rà¶sler, convinto della possibilità  di «guardare al futuro con ottimismo». «La crescita tedesca avrà  un’accelerazione nel corso dell’anno», è per esempio l’opinione dell’economista della Berenberg Bank Christian Schulz.
In questa situazione, anche alla luce delle nuove tensioni riaffiorate tra Berlino e Parigi sulle politiche europee, in molti si consolano mettendo in rilievo il grande divario esistente tra le economie dei due Paesi. I numeri parlano chiaro. In primo luogo le esportazioni, che contribuiscono ad oltre il 40 per cento del Pil tedesco e a poco più del 20 per cento di quello francese. Quasi un quarto delle esportazioni dei Paesi dell’Unione europea sono targate Germania, mentre quelle francesi non raggiungono il 10 per cento. La disoccupazione in Germania si assesta sul 5,4 per cento mentre in Francia ha superato il 10. Le spese pubbliche incidono sul Pil in maniera largamente inferiore rispetto a quanto accade alla corte di Franà§ois Hollande.
Differenze spiegabili grazie a quelle armi vincenti che il sistema-Paese tedesco ha saputo costruire. La Germania esporta perché è stata in grado di differenziare i mercati e di aprirsi verso le nazioni emergenti, evitando così di subire i costi della crisi europea. Oltre l’8 per cento delle esportazioni mondiali vengono dalla Repubblica federale, che in Europa ha realizzato forme di crescente integrazione economica con gli ex Paesi comunisti. Le riforme dell’Agenda 2010, annunciata sette anni fa dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schrà¶der (e di cui Angela Merkel, arrivata dopo di lui, ha ammesso di avere incassato molti benefici a medio termine), hanno rivoluzionato il mercato del lavoro, facendo balzare in avanti la competitività : è stato ridisegnato il welfare, sono state alleggerite le tutele, create nuove formule di impiego, innalzata l’età  della pensione. «Tutti devono dare il loro contributo, dipendenti e datori di lavoro, nessuno escluso», fu l’appello di Schrà¶der. E così è stato. Un’altra caratteristica virtuosa del modello tedesco, nel campo dell’occupazione giovanile, è quella della formazione professionale, in cui interagiscono studio e lavoro. Un sistema, questo, elogiato anche dal presidente americano Barack Obama.
Paolo Lepri

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