Epifani, l’inizio è in salita Renzi e Veltroni puntano su Chiamparino
ROMA — Non è un inizio facile quello di Guglielmo Epifani. Sia nella maggioranza del Pd che lo ha eletto, sia tra quelli che hanno subìto questa scelta, cominciano già i distinguo e le critiche.
Il governatore della Toscana Enrico Rossi, bersaniano, mette le mani avanti e fa sapere che l’ex leader della Cgil non può pensare di ricandidarsi al Congresso: lui non rappresenta «un segnale di rinnovamento perché ha avuto un ruolo primario nella prima come nella seconda Repubblica». Senz’altro più soft, ma non per questo meno fermo, Massimo D’Alema: intervistato dal Tg3 dichiara che ci vuole un «rinnovamento generazionale» alle assise che verranno. Insomma, non sarà facile per Epifani, che ieri ha incontrato Giorgio Napolitano, districarsi tra le polemiche e le tensioni. Tanto più che anche un sondaggio della Digis, pubblicato da un sito molto vicino al Partito democratico, «Ilretroscena», rivela che per il 39 per cento degli intervistati l’elezione dell’ex segretario della Cgil «è una scelta che sa di vecchia politica».
Come se non bastasse, l’analisi dei flussi elettorali, a cui non è stata ancora dedicata una riunione apposita, ma che è stata comunque già fatta dal Pd, è più che sconfortante. L’11 per cento dell’elettorato del partito, ossia un milione e 300 mila elettori, ha preferito disertare le urne il febbraio scorso. Il 14,3, pari a un milione e 700 mila italiani che avevano votato per il Pd nelle ultime politiche, si è buttato sul Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. In totale il 62,6 per cento ha confermato la preferenza data al Partito democratico. Non è tantissimo, soprattutto se si pensa al clima che ha preceduto le elezioni: tutti credevano che il centrosinistra avrebbe vinto.
Ma questi sono problemi che non riguardano solo Epifani. Anche Matteo Renzi, per quanto cerchi di tenersi il più defilato possibile dalle beghe interne, dovrà porsi una questione. Altrimenti c’è il rischio, come aveva profetizzato lui stesso qualche tempo fa, che finisca per «ereditare solo macerie». È chiaro che in questo quadro il sindaco rottamatore non può non giocare una partita anche all’interno del Pd. Una fetta dei suoi spera ancora che il primo cittadino del capoluogo toscano finisca per candidarsi alla segreteria, visto che il governo non sembra destinato a durare troppo a lungo. Alcuni renziani spingono il loro leader a valutare i «pro» e i «contro». Lui, per ora, resta irremovibile: «Farò il sindaco e nel 2014 mi ricandiderò a palazzo Vecchio».
Ma c’è chi spera che a luglio, quando dovranno essere presentate le candidature per la segreteria del Partito democratico, il sindaco rompa gli indugi. Per il momento, però, non tira affatto quest’aria. Il che non vuol dire che il primo cittadino di Firenze non si renda ben conto del fatto che al congresso d’autunno non potrà appoggiare una candidatura come quella di Epifani, né potrà sostenere Gianni Cuperlo nella sua corsa. Dovrà optare per un candidato che gli somigli di più, che non riproduca l’impostazione del socialismo del tempo che fu. L’uomo giusto c’è. Renzi lo aveva candidato alla presidenza della Repubblica nelle defatiganti votazioni per il Quirinale. È Sergio Chiamparino, presidente della Compagnia di San Paolo, ex sindaco di Torino, uomo stimato sia nel Pd che all’esterno. Certo, c’è una fetta del Pd che lo teme e non lo vuole, per questa ragione ha messo in giro la voce secondo cui guadagnerebbe svariate centinaia di migliaia di euro grazie al suo incarico. Così non è, ne guadagna 70 mila l’anno. Ma il fatto che circolino queste indiscrezioni false la dice lunga sullo stato dei rapporti interni al Partito democratico.
Oltre a Renzi, l’ex sindaco di Torino ha l’appoggio di Walter Veltroni, uno dei primi a pensare al suo nome in vista della corsa alla segreteria. Per l’ex leader del Pd, Chiamparino sarebbe il candidato ideale. E c’è chi ricorda che un tempo era anche in ottimi rapporti con Massimo D’Alema. Ma ufficialmente, lui non è in campo. A qualche amico con cui ha parlato in questi giorni, però, non ha escluso affatto di potersi impegnare in prima persona: «Se ce ne sono le condizioni, non escludo di poter dare una mano. Bisogna costruire una piattaforma politico-programmatica di ispirazione liberal-laburista di cui mi pare si avverta il vuoto nel campo del centrosinistra».
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