by Sergio Segio | 14 Maggio 2013 5:54
MILANO — Colpevole di arronzamento. Non sarà aulico come dire «induzione indebita a dare utilità », uno dei due reati che la legge Severino ha gemmato dalla vecchia «concussione» e che per il pm non è il salva-Berlusconi spacciato per mesi da una pubblicistica approssimativa. Ma, in bocca al pm napoletano Ilda Boccassini, lo spagnolismo del dialetto, evocando l’abborracciare qualcosa fatto male e frettolosamente, dà corpo all’«interferenza di Berlusconi sulla Questura di Milano», che il pm nutre di interrogatori-documenti-intercettazioni-bonifici per concludere, con un lapsus, «condanno Silvio Berlusconi… chiedo la condanna»: per le telefonate in Questura del 27 maggio 2010, notte in cui vi finisce la minorenne Ruby, ospite di 7 notti del «sistema prostitutivo organizzato ad Arcore da Fede-Mora-Minetti per il soddisfacimento del piacere sessuale del premier», dunque una potenziale mina vagante «dopo già i casi Noemi e D’Addario».
Se infatti «fino al fotosegnalamento alle ore 23.49» sono «lineari le procedure volte all’affidamento in comunità di Ruby disposto dal pm minorile Fiorillo», l’arronzamento in Questura del capo di gabinetto Ostuni e della funzionaria Iafrate comincia a mezzanotte. E cioè quando un preoccupatissimo Berlusconi — avvisato sul cellulare personale, ignoto persino a molti vertici dello Stato, da una prostituta brasiliana fiondatasi in Questura «nonostante un aborto quella stessa mattina» — chiama Ostuni per «spacciare la balla della nipote di Mubarak», e annunciare che a farsi carico della ragazza si precipiterà la consigliere regionale pdl Nicole Minetti: altra pedina di quello che il pm, con espressione curiosamente usata già anni fa nelle requisitorie Sme e lodo Mondadori, definisce «un apparato militare che si scatena».
Ma «già dalle 19.30 la Questura sa che Ruby non è egiziana ma marocchina, non è nipote di Mubarak, è minorenne scappata da una comunità ». E Berlusconi stesso sa quanto la storia di Mubarak «sia una bufala talmente grossolana, ma proprio per questo tale da consentirgli di dire tipo senti ma tu capisci a’mmè. E infatti, perché Iafrate ritelefona di notte al pm Fiorillo per dirle cose (Mubarak) che sa già non essere vere? Perché vuole avere dal pm una liberazione ad affidare Ruby a Minetti» come vuole Berlusconi. «Invece Fiorillo si insospettisce di più e ribadisce di tenerla in Questura in attesa della comunità », dice Boccassini della collega censurata dal Csm per aver smentito nel novembre 2010 la versione del ministro Maroni in Parlamento. «Avvilenti» e di «falsità suicida» sono le deposizioni di Iafrate per il pm, che per altro verso distingue «il vero mischiato al falso» anche nella Ruby che agli esordi milanesi, puntando «al sogno italiano della tv, per paradosso sfrutta, con la furbizia orientale delle sue origini, il luogo comune della musulmana vittima di un padre-padrone» invece povero ma buono.
Il pm motiva il no alle attenuanti generiche per Berlusconi («che già lo salvarono nel lodo Mondadori» propiziando la prescrizione) con il misterioso interrogatorio del «6 ottobre 2010 a cui Ruby è sottoposta non dai pm ma da un emissario di Berlusconi quando ancora nulla si sapeva delle indagini», al pari delle audizioni difensive di testi svolte «proprio ad Arcore». E poi pesano la «brutta cosa» dei verbali difensivi «di una ragazza trovati a casa di un’altra, chi glieli consegnò?»; la «convocazione ad Arcore di tutte le ragazze perquisite il giorno prima»; le ragazze-testi «a libro paga di Berlusconi»; i suoi prelievi di «19 milioni di euro in contanti nel 2009-2010». Da queste «carte processuali» Boccassini si sente «difesa» rispetto a «tutti gli attacchi», pur confessandosi «smarrita» quando l’11 marzo «ho visto l’assembramento di persone delle istituzioni» (i 100 parlamentari pdl capitanati da Alfano) «che avevano invaso il Tribunale».
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