Dopo l’Europa le nozze gay Metà  partito contro Cameron

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LONDRA — Una guaio tira l’altro e David Cameron si trova sulla graticola, prigioniero di una sempre più folta schiera di parlamentari conservatori che gli contesta la leadership. A salvarlo, per ora, è l’inciucio (coi laburisti), parola che la politica inglese non conosce ma che entra in grande stile a Westminster ed evita uno scivolone a Downing Street.
Il premier pensava e sperava di essersi messo temporaneamente alle spalle la tempesta sul referendum europeo. La tregua, però, è durata poco. È stato l’ex viceministro Tom Loughton a scombussolare i piani di ricomposizione del partito, scosso da una violentissima crisi di nervi. E questa volta a trasformare il fronte tory in un campo di guerra è la questione del matrimonio fra gay.
Arrivata al quarto passaggio sui cinque previsti alla Camera dei Comuni, la legge, che nelle intenzioni del governo dovrebbe essere approvata entro il 2014, ha rischiato di bloccarsi. Tutto ciò a causa di un emendamento trappola che dietro alla proposta dettata dal buon senso di allargare i benefici della nuova disciplina anche alle «coppie civili di eterosessuali» è invece diventata una vera e propria imboscata con l’obiettivo di rimettere in discussione il provvedimento e di spedire al capo dell’esecutivo un messaggio molto chiaro: non controlli più il gruppo tory a Westminster, e che sia l’Europa o che sia il matrimonio fra gay, devi cambiare marcia e ritornare ai valori della nostra tradizione.
Che, ora come ora, David Cameron si trovi con le spalle al muro lo dice la realtà . Sullo sfondo c’è l’ombra ingombrante della destra di Nigel Farage e dell’UKip che incombe e che suggerisce al fronte degli ultras tory di sbarazzarsi dal peso di posizioni che, sostengono, potrebbe allontanare ancora migliaia di elettori.
L’Europa divide ma David Cameron ha lo spazio di manovra per evitare di soccombere al fuoco dei suoi avversari interni. Sul matrimonio fra gay i margini sono assai stretti. Si è impegnato ad approvare il provvedimento in tempi rapidi e se ciò non dovesse avvenire il danno d’immagine risulterebbe evidente. Le parole che ha sempre ripetuto, «questa legge rende la società  più forte e equa», sono un giuramento che lo vincola e non gli consente marce indietro.
La politica è un’arte che implica anche mille sottigliezze e Cameron ne sfodera una, la libertà  di coscienza che concede al suo gruppo parlamentare per evitare di trasformare il dissenso in ribellione con le inevitabili ricadute sulla tenuta del governo, ma la sostanza cambia poco: mezzo partito gli è contro. Lo dimostrano il tormentone sull’Europa e il percorso accidentato del «same sex marriage bill».
Già  alla prima lettura ai Comuni, nel febbraio scorso, 135 conservatori avevano provato a mettersi di traverso e solo il «soccorso laburista» aveva evitato l’impantanamento: in quel caso il via libera ottenne 225 sì. Ieri, l’emendamento trappola, anticipato dalla lettera di 34 dirigenti del partito, ha illustrato al meglio i traballanti equilibri che stanno dietro a Downing Street.
Il tema è delicato. Ma, aldilà  delle implicazioni religiose e morali, una parte importante dei tory lo sta utilizzando per muovere un nuovo attacco politico a David Cameron. E che a toglierlo d’impaccio siano ancora i laburisti, i quali pur d’accordo sulla sostanza dell’emendamento trappola rifiutano comunque di votarlo per presentarne uno con iter separato e impedendo così il collasso della legge, è la conferma delle difficoltà  e degli ostacoli per il premier. Gli sta sfuggendo il controllo del partito di maggioranza. E l’inciucio coi laburisti, circoscritto alla legalizzazione dei matrimoni gay, è una boccata d’ossigeno provvisoria. In parlamento David Cameron se la vedrà  coi «guerriglieri» che si nascondono in casa sua.


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