Dai conti di Saccomanni cautela sul taglio: la copertura è difficile
Per Enrico Letta è stato il primo momento ostico, con il Pdl e dentro la compagine di governo. Il combinato disposto tra il voto di fiducia e il tour europeo per qualche ora ha preoccupato il premier e costretto le diplomazie di Palazzo Chigi ad attivarsi ai massimi livelli. E adesso la domanda che ipoteca i destini dell’esecutivo è se il premier tornerà dall’Europa con un sì all’allentamento dei vincoli di bilancio, oppure a mani vuote.
«L’Imu non verrà tolta, ci sarà una proroga per la rata di giugno», dice Franceschini in Senato alle nove di mattina. Il Pdl si scatena, Berlusconi minaccia di togliere la fiducia ancor prima di concederla e l’ex segretario del Pd ricuce la tela. Chiama Schifani e lo tranquillizza, derubrica la vicenda a «piccolo incidente tecnico» innescato dalle agenzie di stampa e poi telefona a Brunetta, ma il capogruppo vuole rassicurazioni precise: «Dario qui non si scherza, pacta sunt servanda, se non cancelliamo l’Imu e non restituiamo la rata del 2012 stacchiamo la spina. Tra Berlusconi e Letta c’è un accordo preciso».
Il problema non è semantico, è politico. È che lunedì sera, quando con Franceschini ha visto Fabrizio Saccomanni per fare un po’ di conti, Letta si è sentito dire dal ministro del Tesoro che trovare i soldi per cancellare (o persino rimborsare) l’Imu sarà tutt’altro che facile. L’ex direttore generale di Bankitalia sarebbe rimasto spiazzato da quel passaggio del discorso alla Camera in cui Letta annunciava lo «stop ai pagamenti di giugno», una formulazione che Saccomanni, si racconta, non avrebbe avuto occasione di soppesare in anticipo. E altrettanto sorpreso sarebbe stato il ministro Delrio, cui tocca rassicurare i sindaci sulle entrate legate all’Imu: basti dire che a Salerno le banche avrebbero già bloccato il fido al Comune… Tra i tecnici del Tesoro è scattato l’allarme sulle coperture, che potrebbero richiedere tagli lineari alla spesa pubblica, sanità e istruzione in primis. Chi mai vorrebbe tenere a battesimo un governo lanciato verso nuove, dolorose manovre? Ecco spiegata la prudenza di Franceschini, che il Pdl, in parte strumentalmente, ha voluto leggere come una mezza marcia indietro. «Ci hanno provato, con una piccola furbizia speravano di cambiare le carte in tavola — è la brusca sintesi di un ministro berlusconiano —. Enrico e Dario fanno il gioco delle parti». Il nervosismo del Pdl è speculare a quello del Pd. Quando Fassina avverte che «il governo Letta non è il governo del Pdl» mette il dito sulla piaga e dice quel che molti democratici pensano. Per il responsabile Economia del Pd «bisognerà trovare un compromesso» ed è così che potrebbe finire, con una esenzione sulla prima casa. Perché l’obiettivo di Berlusconi e Alfano è ottenere una vittoria politica e non certo mandare a casa il governo. «Sulla fiducia non abbiamo rischiato nulla — conferma Luigi Zanda —. Come ogni buon padre di famiglia che deve saldare un debito, Letta ha dovuto consultare Ragioneria e Tesoro per vedere se ci sono i soldi». E adesso Palazzo Chigi lavora a un decreto legge che dovrà normare il rinvio della rata di giugno e compensare i Comuni, per un miliardo e 600 mila euro.
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