Da YouTube alle pietre hi-tech Tutti i trucchi dei nuovi 007

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WASHINGTON — La «regina di Cuba» quando doveva ricevere un messaggio dall’Avana tirava fuori la sua Sony a onde corte, si sintonizzava su «Am 7887» e aspettava il messaggio. Una serie di numeri, letti da una voce femminile, che lei digitava nel portatile Toshiba. A decifrarli ci pensava un programma criptato fornitole dai suoi superiori. Usando queste semplice sistema, molto amato da russi e cubani, la «regina» ha spiato per 17 anni i suoi colleghi dell’intelligence americana. Ana Belen Montes, questo il suo nome, lavorava alla Dia, il servizio militare Usa, aveva accesso a informazioni incredibili e grazie alla sua azione ha fatto felici i barbudos di Fidel. L’avevano addestrata bene, era stata capace di beffare la macchina della verità .
La storia di Ana, smascherata il 21 settembre del 2001, non è lontana del tempo. E non deve sorprendere che la talpa cubana, in un’epoca di tecnologie mirabolanti, abbia usato ancora la radiolina. «È la strada più sicura. Pratica, non solleva sospetti. Chiunque ne può tenere una in casa. Per questo motivo i russi e gli 007 dell’Est l’hanno consigliata ai loro alleati», ci dice un’ex spia che ha combattuto per anni contro quelli del Patto di Varsavia dall’Europa fino in Sud America. Gli apparati a onde corte sono rispuntati nella case di altre spie nascoste in Occidente. Metodi affiancati, a volte, dal ricorso a Internet. Una coppia, marito e moglie, beccata dalla polizia tedesca ha mandato e ricevuto messaggi ricorrendo ai video su YouTube. Sotto i filmati dedicati a vetture da corsa postavano dei testi in apparenza innocui che nascondevano comunicazioni importanti sull’Alleanza Atlantica. Il danno che hanno arrecato è stato devastante.
Ogni servizio ha i suoi Mister Q, gli ingegneri e i «maghi» che si inventano diavolerie per favorire gli 007 in missione. Trucchi, genialate. Alcune costose, altre banali come una parrucca. A sentire le autorità  russe l’agente della Ryan Fogle sorpreso lunedì a Mosca con le mani nella marmellata ne indossava una bionda, l’altra più scura la celava in uno zaino. Possibile? Anche se ci sono le foto diffuse dalle autorità  gli esperti sono scettici e non escludono che i russi si siano «divertiti» ad aggiungere i reperti per rendere ridicolo l’agente americano. Altri osservatori suggeriscono: i laboratori della Cia possono fare di meglio. E ricordano la storia — vera — di «Argo», con l’idea di girare un film — finto — per far scappare un pugno di diplomatici dall’Iran khomeinista.
A volte basta poco per cercare di mascherare i propri tratti. Il team del Mossad coinvolto nell’omicidio di un dirigente di Hamas a Dubai, nel gennaio 2010, sembrava un «catalogo» ambulante. Qualche agente portava cappellini diversi. Un altro dei finti occhiali da vista. Un paio hanno seguito il bersaglio nell’ascensore in tenuta da tennis, con asciugamano al collo e racchetta. Un lavoro pulito. Ma solo in parte. Perché le telecamere di sorveglianza — vero nemico dell’attività  clandestine — li hanno filmati e, alla fine, gli investigatori di Dubai sono riusciti a ricomporre il mosaico della «squadra azione».
Chi si muove in un ambiente ostile deve avere nervi d’acciaio. Pronto all’attacco e alla difesa. Va in cerca di segreti e deve proteggere i suoi. La sopravvivenza è tutto. Così spera che la tecnologia lo aiuti. I James Bond britannici si sono inventati una pietra miracolosa in seguito trovata dagli avversari russi. Costruito in fibra di vetro, il finto «sasso» faceva da guscio a un apparato ricevente. L’agente camminava nelle vicinanze, attivava un gadget che trasmetteva i dati alla pietra, se ne andava. Toccava a un secondo spione recuperarla. Una versione moderna del microfilm infilato in un tubicino e nascosto sotto la quercia di un parco. Messaggi spesso scritti su carta solubile. In caso di emergenza li butti nel water. Non rimane nulla.
L’indagine sul cerchio di spie negli Usa dove brillava l’estrosa Anna Chapman, detta «la rossa», ha mostrato come l’intelligence russa resti fedele alla tradizione, seguendo tattiche tramandate nel tempo. Un membro del network ha rubato l’identità  di Donald Heathfield, neonato canadese deceduto nel 1962. Un modo per costruirsi un nuovo profilo e vivere indisturbato — fino al suo arresto nel 2010 — nella zona di Boston. Al suo fianco, in un quadretto perfetto, la moglie, anche lei agente dell’Svr. Per trasferire i documenti, gli 007 infiltrati nella vita americana non disdegnavano il classico «scambio». Si incrociavano su un marciapiede o in una stazione del metrò e, senza fermarsi, si passavano qualcosa. Operazione più veloce di una stretta di mano. Soluzione che evita il fastidio di cercare un Internet Point da dove lanciare un’email e toglie l’ansia di essere intercettati.
I filmati di sorveglianza dell’Fbi ci mostrano gli 007 venuti da lontano muoversi con tranquillità . Scene di vita quotidiana, nulla di strano. Per Anna Chapman tanta — forse troppa — vita sociale. Per gli altri un’esistenza anonima, simile a quella di milioni di americani. Lavoro, casa, barbecue nel weekend, festicciole, figli da seguire. Invece di nascondersi si sono esposti con la loro normalità . Che per molto tempo si è rivelata più formidabile di una parrucca.


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