Da Formigoni a Latorre l’eterno ritorno dei soliti noti
ROMA — Non ha dovuto nemmeno svuotare i cassetti, Antonio Azzollini da Molfetta, città pugliese di cui era sindaco, senatore del Popolo della libertà alla quinta legislatura consecutiva. Senza fare una piega, i suoi colleghi di destra e di sinistra l’hanno rieletto presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama che aveva già guidato per i cinque anni passati.
Se cercavate un segno tangibile del la rivoluzione che ha investito un parlamento dove sono entrate 612 persone che finora l’avevano visto solo in cartolina, con un tasso di ricambio di ben il 64,5 per cento, eccovi serviti. Ne volete altri? La presidenza della commissione Lavori pubblici, sempre al Senato: l’ha avuta l’ex ministro delle Infrastrutture dell’ultimo governo Berlusconi, Altero Matteoli, settantaduenne di Cecina, in procinto di tagliare il traguardo dei trent’anni da onorevole. Quando è entrato alla Camera con il Movimento sociale di Giorgio Almirante, nel 1983, ha trovato già lì il suo futuro collega di governo Maurizio Sacconi, ex ministro del Lavoro dell’esecutivo del Cavaliere e da ieri presidente della commissione Lavoro. Correva l’anno 1979: Margaret Thatcher varcava il portoncino del numero 10 di Downing street, la Ferrari di Jody Scheckter vinceva il mondiale di Formula uno e i banditi sardi rapivano Fabrizio De André e Dori Ghezzi.
Intendiamoci, qui non sono in discussione l’esperienza o le competenze dei singoli. Quelle di Sacconi, per restare soltanto all’ultimo dei casi citati, sono assolutamente incontestabili. Ma se le nomine dei vertici delle commissioni dovevano essere l’occasione per rinnovare i metodi delle scelte politiche, oltre che gli uomini, quella si è persa. Alla grande. Hanno prevalso le solite vecchie logiche: premiare i più fedeli, risarcire i delusi, onorare qualche promessa fatta quando si pensava a un diverso risultato elettorale.
Le medesime logiche hanno proiettato l’ex ministro del Lavoro dell’ultimo governo di Romano Prodi, Cesare Damiano, al posto di presidente della commissione Lavoro della Camera. Oppure l’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni, senatore orfano dell’incarico di commissario generale dell’Expo 2015 che aveva cercato di difendere con le unghie e con i denti, sulla poltrona di presidente della commissione Agricoltura di Palazzo Madama. O ancora, la senatrice Anna Finocchiaro, convinta pubblicamente fino a pochi giorni fa che «un’alleanza fra Pd e Pdl avrebbe un difetto serio di affidabilità », alla guida della commissione Affari costituzionali.
Nemmeno Elio Vito, ex radicale, pidiellino e ministro del quarto governo Berlusconi, eletto nel 1992, si può lamentare: presidente della commissione Difesa di Montecitorio. Né Giancarlo Galan, ex governatore del Veneto e già ministro dei Beni culturali con il Cavaliere: presidente della commissione Cultura della Camera. E Pier Ferdinando Casini? Niente paura: presidente della commissione Esteri del Senato. Incarico toccato, a Montecitorio, nientemeno che a Fabrizio Cicchitto, un tempo promessa del Psi di Bettino Craxi approdato per la prima volta alla Camera nel 1976, che ha passato a Renato Brunetta il testimone da capogruppo pdl alla Camera.
Né il divorzio da Berlusconi ha nuociuto particolarmente all’ex triumviro del Pdl Ignazio La Russa, traslocato all’opposizione con Fratelli d’Italia: si è beccato la presidenza della giunta per le Autorizzazioni a procedere. Mentre il deputato del Pd Francesco Boccia, già in predicato per un posto al governo, ipotesi tramontata contestualmente alla nomina a ministro dell’Agricoltura di sua moglie, la deputata del Pdl Nunzia De Girolamo, è stato dirottato al vertice della commissione Bilancio di Montecitorio.
Nella scientifica suddivisione di poltrone e poltroncine fra generali e marescialli è scappata fuori una presidenza di commissione anche per il dalemiano a quattro ruote motrici Nicola Latorre. La Difesa del Senato, per l’esattezza. E il portavoce del Cavaliere Daniele Capezzone, dopo una traversata del deserto durata ben cinque anni con tanto di astinenza parlamentare, seguita alla veloce piroetta che nel 2008 l’ha trasformato da ex segretario radicale a pasdaran berlusconiano, non meritava forse un piccolo ma adeguato riconoscimento? Eccolo dunque presidente della commissione Finanze della Camera. Una bella rivincita: è uscito da presidente di commissione, allora le Attività produttive, è tornato da presidente di commissione. Che fine hanno fatto gli stracci che volavano con il Pd fino all’altro ieri? Acqua passata… Ma anche questo è il nuovo che avanza.
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