DA DOVE NASCE IL SENSO DI ORRORE PER IL SUICIDIO

by Sergio Segio | 15 Maggio 2013 7:20

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Anche le ricerche sociologiche, a cominciare da quella di à‰mile Durkheim, tendevano a riportare il suicidio a uno squilibrio tra individuo e comunità , così come quelle psicologiche ne facevano un disturbo dell’equilibrio psicologico. Non c’è da sorprendersi che il riconoscimento della liceità  del suicidio non sia agevole con questi presupposti culturali. La stretta limitazione dell’eutanasia a condizioni di salute disperate è stata utilizzata, per esempio da Hans Jonas, per coniugare la sua giustificazione con la sua distinzione radicale dal suicidio. Il disagio che la cultura ha manifestato di fronte al suicidio è in gran parte eredità  della sua condanna religiosa, formulata soprattutto dai filosofi e dai teologi, che ne hanno accettato il lascito. Questo disagio ha agito sulla configurazione dell’assistenza al suicida come reato, dopo che il suicidio era stato depenalizzato, e sulla duratura tendenza dei medici a esorcizzarlo, considerandolo una forma di pazzia o un atto da vanificare in nome dell’obbligo di soccorso. In generale si è esorcizzato il suicidio considerandolo una condotta sostanzialmente uniforme, in cui le motivazioni e le circostanze che inducono ad adottarla non vanno prese per buone, perché essa è dovuta a cause profonde. E, una volta elaborata un’interpretazione del suicidio in generale, si è quasi sempre sostenuto che esso è un atto riprovevole. Un tempo si diceva che è una forma di violazione dell’ordine divino del mondo, una disobbedienza alla divinità , che impone di soffrire, oppure che è innaturale; poi filosofi più sofisticati hanno suggerito che è contraddittorio, perché non permette di conseguire ciò che il suicida, secondo le loro dottrine, vorrebbe ottenere.
In questo modo si cerca di giustificare un giudizio morale uniformemente negativo sul suicidio, come se esso non potesse essere oggetto di valutazioni disparate, al pari delle altre condotte, che possono essere considerate giudiziose, esagerate, coraggiose, codarde, frutto di buona o cattiva informazione, di capacità  di giudizio eccetera. Il rifiuto di ammettere la possibilità  di giudizi morali disparati dei suicidi e di un medesimo suicidio è proprio di trattazioni che mirano a eliminare il suicidio dalle prospettive che una persona può prendere in considerazione e riflettono soprattutto la reazione di chi teme il suicidio altrui e teme di esserne affettivamente danneggiato.

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