Boccassini chiede sei anni e l’«interdizione perpetua»

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MILANO — Sei anni di carcere, interdizione perpetua dai pubblici uffici (è obbligatoria per legge) e legale per 6 anni, divieto di frequentare strutture praticate abitualmente da minori: se la richiesta di condanna avanzata dalla Procura al processo Ruby dovesse essere accolta e confermata fino in Cassazione Silvio Berlusconi perderebbe libertà , seggio parlamentare e cariche sociali.
La richiesta arriva alla fine della requisitoria con cui il pm Ilda Boccassini focalizza due punti fondamentali dell’accusa «all’imputato Berlusconi»: l’aver avuto rapporti sessuali a pagamento tra febbraio e maggio 2010 con la allora 17enne marocchina Karima «Ruby» El Mahroug (reato di prostituzione minorile); aver fatto pressioni (concussione, trasformata nella nuova indebita induzione) sui vertici della Questura di Milano affinché la notte del 27 maggio Ruby, fermata per furto, fosse rilasciata e affidata alla consigliera regionale Nicole Minetti, finendo poi in casa della ballerina Michelle De Conceicao (definita però «una prostituta»), invece di essere portata in una comunità  per minorenni (come ordinato dal pm dei minori Annamaria Fiorillo) ed evitare così che raccontasse cosa accadeva nelle notti del bunga bunga ad Arcore. Due mesi fa, prima che il processo si bloccasse per legittimi impedimenti e malesseri del leader Pdl e in attesa che la Cassazione dicesse no al trasferimento a Brescia, l’altro pm, Antonio Sangermano, aveva sostenuto che nella residenza del Cavaliere non si svolgevano cene eleganti, ma balletti hard e notti di sesso pagato dal padrone di casa: un «sistema prostitutivo» per soddisfare il «piacere sessuale di Silvio Berlusconi» del quale la marocchina faceva parte. Ruby arriva ad Arcore il 14 febbraio 2010 con Emilio Fede, sostiene Boccassini, non con Lele Mora («non c’era nella villa»), come ha dichiarato l’ex direttore del Tg4 «mentendo spudoratamente». È un passaggio cruciale per l’accusa di prostituzione che si concretizza dimostrando che il Cavaliere sapeva che Ruby aveva 17 anni, elemento escluso in aula dalle ragazze che partecipavano alle cene e ai dopocena, dalla stessa Ruby nei verbali pieni di mezze verità  e menzogne, ma per i pm confermato dalle intercettazioni. Non si «può immaginare che Fede», che ha un «rapporto di amicizia, collaborazione e fedeltà  assoluta» con il Cavaliere, «non gli abbia detto — sostiene Boccassini — sin dal primo momento che stava introducendo nelle serate di Arcore una minorenne», cosa che sapeva perché l’aveva conosciuta mesi prima in un concorso di bellezza. Che non avesse 18 anni, lo sapevano anche Lele Mora, al quale lo aveva confidato Ruby, e anche Nicole Minetti, sostiene il magistrato portando un elemento inedito.
Pur di «entrare nel mondo dello spettacolo» è pronta a tutto Ruby. Prima di Arcore, secondo l’accusa, si prostituisce, come dimostrano la «disponibilità  di denaro», i gioielli, i vestiti e le borse firmate da migliaia di euro incompatibili con i lavoretti che fa, sottolinea il magistrato. «Viveva di espedienti, andava di casa in casa, sapeva sfruttare la bellezza e la fede mussulmana», aggiunge sottolineando i racconti della ragazza su un padre despota che l’aveva ustionata con l’olio bollente perché voleva farsi cristiana. La ragazza ha sempre detto di non aver avuto rapporti sessuali con il Cavaliere, come tutte le giovani ospiti delle cene di Arcore. Per l’accusa non è così se si analizzano le intercettazioni, i verbali di Ruby e alcune deposizioni, come quella della ballerina Caterina Pasquino che, pur parlando di uno scherzo, dice che la marocchina le aveva riferito di aver fatto sesso con il Cavaliere. Tutte ricevevano denaro, ma per la difesa erano solo aiuti generosi.
A far deflagrare lo scandalo è la «scheggia impazzita» Pasquino che alle 18,01 del 27 maggio vede Ruby per strada e chiama il 113 accusandola di averle rubato dei soldi. Il pm ipotizza che la ballerina, che non aveva accesso ad Arcore, fosse gelosa, tanto che prova a guadagnare meriti chiamando prima Mora per un consiglio, ma quello, sottovalutando le conseguenze, la liquida: «Denunciala». Boccassini ripercorre l’iter fino all’affidamento alla Minetti. Dopo aver in passato escluso responsabilità  dei vertici, ora si sostiene che fin quando non è arrivata alle 23,40 la telefonata di Berlusconi, che diceva di aver saputo che c’era una ragazza egiziana segnalatagli come nipote di Mubarak, tutto in Questura si era svolto correttamente. Invece la macchina impazzisce e, anche dopo che era chiara la vera identità  di Ruby, intuiti «i reali interessi dell’allora premier», quella notte quegli stessi «vertici consegnarono la minore a una prostituta tramite un rappresentante delle istituzioni».
Giuseppe Guastella


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