Bloccate le costruzioni nelle colonie, per finta

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GERUSALEMME. Benyamin Netanyahu, su pressione americana, ha deciso un blocco limitato all’espansione delle colonie israeliane, come quello che gli impose quasi quattro anni fa l’Amministrazione Obama? Difficile capirlo dalle notizie parziali e confuse circolate ieri. Il premier israeliano, ha detto la radio militare, avrebbe ordinato – evitando annunci pubblici – uno stop ai nuovi appalti per le costruzioni in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, su pressione degli Stati uniti, per favorire il rilancio dei negoziati con i palestinesi. L’emittente ha aggiunto che Netanyahu avrebbe anticipato questa intenzione alcuni giorni fa in un incontro con il ministro dell’edilizia Uri Ariel – del Partito «Focolare ebraico», quindi un accanito sostenitore della colonizzazione – e la sospensione delle gare d’appalto per gli insediamenti è stata confermata anche da Peace now, secondo il quale nessun nuovo piano è stato approvato dopo la visita in marzo di Obama. «È un importante passo che va accolto positivamente», ha commentato il direttore del gruppo, Yariv Oppenheimer.
Il blocco delle costruzioni negli insediamenti – illegali per le leggi internazionali – è considerato dai palestinesi una condizione necessaria per riprendere i negoziati ma finora Netanyahu ha risposto di volere una trattativa senza precondizioni. Immediato l’allarme tra i coloni israeliani che hanno chiesto un incontro con il primo ministro e «Focolare ebraico» ha fatto sapere che potrebbe non dare il suo voto favorevole a importanti provvedimenti economici. Più tardi si è appreso che il blocco avrebbe una breve durata, fino alla metà  di giugno. Infine il sito del quotidiano Yediot Ahronot ha riportato che per Netanyahu tutto andrà  avanti come sempre e che non c’è uno stop alle costruzioni.
Qualcosa però bolle in pentola. Il premier israeliano sa che deve rispondere, sia pure con gesti simbolici, alle sollecitazioni del Segretario di stato americano John Kerry che afferma di volere far ripartire il negoziato. E per questo motivo ha chiesto a israeliani e palestinesi di dargli due mesi di tempo e di evitare mosse unilaterali. I palestinesi quindi hanno sospeso ogni nuovo passo presso l’Onu, dopo aver ottenuto in novembre lo status di Stato osservatore non membro malgrado l’opposizione di Israele. E Netanyahu si sarebbe impegnato a non dare il via a nuovi progetti di espansione delle colonie. È perciò probabile che il premier abbia detto al ministro Ariel di tenere le cose ferme per qualche settimana, senza annunciarlo in pubblico, poi tutto tornerà  come prima.
Kerry domani farà  tappa a Roma dove sono attesi anche Tzipi Livni, ministro israeliano della Giustizia nonché capo negoziatore con i palestinesi, e Isaac Molho, inviato speciale di Netanyahu. Entrambi una settimana fa erano a Washington per discutere della recente dichiarazione della Lega Araba riguardo ai confini del futuro Stato palestinese che ha aperto la strada agli «scambi territoriali» tanto invocati da Israele allo scopo di annettersi Gerusalemme Est e porzioni importanti di Cisgiordania occupata nel 1967.
Comunque stiano le cose, il possibile breve blocco delle nuove costruzioni nelle colonie non sarà  percepito sul terreno. Lo sanno bene i palestinesi. Due giorni fa, ad esempio, l’esercito israeliano ha consegnato 11 ordini di demolizione per altrettante abitazioni civili nel villaggio di Deir Nidham che, se saranno eseguite, lasceranno più di 40 persone senza un tetto. La «colpa» dei proprietari è quella di abitare nei pressi della colonia israeliana di Halamish che le autorità  militari intendono espandere.


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