“Basta tollerare intimidazioni e sessismo ma le norme speciali non ci servono”

by Sergio Segio | 4 Maggio 2013 7:16

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ROMA — «C’è un vecchio detto, quello che illegale offline è illegale online. La Rete non ha bisogno di una legge speciale, le regole ci sono già . Bisogna solo farle rispettare. La battaglia culturale, questa sì è l’idea forte lanciata da Laura Boldrini, a cui va la massima solidarietà  per le minacce subite ». Il professor Stefano Rodotà , per la sua formazione da giurista, per la sua storia di ex presidente dell’Autorità  garante della privacy, inorridisce quando sente nella stessa frase le parole “controllo” e “web”. Ma l’intervista rilasciata dal presidente della Camera a Repubblica ieri l’ha molto colpito.
Professore, qual è stato il suo primo pensiero leggendola?
«Che in Italia esiste, ed è diventata molto forte, una cultura razzista, omofoba, sessista. Negli ultimi anni una certa classe politica italiana irresponsabile ha derubricato a burle, a folclore, delle esternazioni gravissime come quelle di alcuni esponenti della Lega Nord, penso a Mario Borghezio, che erano intollerabili. E quindi non mi stupisce che il Parlamento in passato si sia rifiutato in due occasioni di introdurre l’aggravante sul reato di omofobia. È il segno della febbre sociale che stiamo vivendo».
È però una cultura che affonda le radici in tempi lontani. O no?
«Anche questo è vero. Ricordo quando ero in Parlamento (Rodotà  è stato onorevole dal 1979 per quattro legislature consecutive, ndr)
c’era questa odiosa usanza di eleggere miss Montecitorio, cioè la collega più bella. E mi ricordo che Giancarla Codrignani, per ribellarsi a questo gioco, un giorno urlò “quant’è brutto Edoardo Sanguineti”, il grandissimo poeta. Naturalmente era una provocazione. Ma rispetto ad allora la situazione è molto peggiorata. I politici oggi hanno il dovere di comportarsi in modo adeguato al ruolo istituzionale che ricoprono».
Laura Boldrini pone però anche un’altra questione, delicatissima, che attiene in senso lato al controllo della rete.
«Stiamo attenti ad usare certe parole, il web è da sempre oggetto di brame censorie. Non dimentichiamo che l’attuale ministro alla Pubblica amministrazione, Gianpiero D’Alia, aveva presentato in Parlamento un emendamento veramente censorio, respinto solo grazie alla rivolta e alle contestazioni degli utenti»
Lei ritiene che davvero esista una situazione di anarchia del web?
«No, Internet non è un far west, non è una prateria dove si è liberi di compiere reati come quelli subiti dalla Boldrini, le minacce, la diffamazione, lo stalking, e restare impuniti. Le leggi, che puniscono i reati “virtuali” allo stesso modo di quelli “fisici”, ci sono già . Al massimo possiamo fare una ricognizione per verificare che siano
coperte tutte le fattispecie. Ma lo strumentario giuridico a nostra disposizione è molto ricco. Semmai il problema è un altro».
Quale?
«La Rete, per le sue caratteristiche di rapidità , di ampia divulgazione, di facilità  di accesso, richiede un sistema di garanzie adeguato. Quando la magistratura ritiene di dover rimuovere un contenuto diffamante, deve poter contare su una struttura tecnica in grado di farlo in tempo reale, risalendo con certezza all’autore. Questa non è censura o controllo. È rispetto della legge. Pensi che in Francia una legge sulla pirateria è stata dichiarata incostituzionale perché escludeva l’intervento dell’autorità  giudiziaria ».
Qualche giorno fa sono state violate le caselle di posta elettronica di alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle e ne è stato diffuso il contenuto. Secondo lei l’episodio è stato sottovalutato?
«Sì, molto. Pensiamo a cosa sarebbe successo, a quale copertura mediatica ci sarebbe stata, se fossero state pubblicate le mail di D’Alema o Schifani. È una cosa pericolosa, si rischia di veder nascere un doppio standard parlamentare, in base al quale ce ne sono alcuni meno meritevoli di altri »
Le istituzioni, e in particolare gli onorevoli, dovrebbero sottostare a misure particolari di protezione della corrispondenza elettronica?
«Beh, se è stato così facile entrare nelle loro caselle, una riflessione va fatta».
Non è arrivato il momento di modificare la Costituzione, vista la grande importanza che ha assunto la Rete nella vita di tutti?
«Certamente. Già  tre anni fa ho scritto un testo per integrare l’articolo 21 della Carta, come per altro hanno fatto in altri paesi europei, inserendo il diritto ad accedere alla Rete in condizione di parità  e con modalità  tecnologicamente adeguate. Diventerebbe una garanzia forte contro tutte le forme di censura».

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