Barca-Renzi: impegno comune, ognuno a suo modo

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ROMA — Il D-day per capire cosa succederà  sabato, all’assemblea nazionale del Pd, è fissato per domani, quando i big del partito si troveranno, insieme ai segretari regionali, in un coordinamento che ha il difficile obiettivo di trovare una conciliazione tra le varie anime e, possibilmente, trovare un candidato condiviso per la successione a Pier Luigi Bersani. I capicorrente sono al lavoro e il timore è che possano ripetersi giochi e divisioni che hanno segnato il recente passato, a cominciare dalle elezioni del presidente della Repubblica.
Un segnale dei movimenti in corso è arrivato dall’incontro che ha visto protagonisti il sindaco di Firenze Matteo Renzi e l’ex ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca, avvenuto in un hotel di Firenze. Due ore di pranzo durante il quale, a sentire il deputato renziano Francesco Bonifazi, si è parlato del «mantenimento dell’unità » del Partito democratico. Ambizione decisamente alta, visto il grado di frammentazione a cui è giunto il partito e le lotte interne. Se non si è trattato di un vero e proprio patto tra due uomini «nuovi» del Pd, si è trattato di qualcosa di molto simile: «Tra me e Renzi vedo una complementarietà  â€” ha spiegato Barca —. Certamente c’è un impegno comune a lavorare nel Pd. Se il partito si spaccasse, sarebbe un disastro». L’ex ministro ha scherzato sull’età : «Volti nuovi? Lui è più giovane di me, quindi lui è nuovo veramente». Barca ha tenuto a rimarcare gli intenti comuni: «Abbiamo parlato del fatto che è importante impegnarsi direttamente in questa fase, nel partito, ognuno nei suoi modi». Quali siano i modi, è tutto da capire. Quel che si sa, o che è stato detto, è che Renzi non si vede tagliato per un ruolo di segretario di partito (quanto di candidato premier), mentre Barca per lo stesso ruolo si è sfilato nelle scorse settimane. E a conferma ieri ha spiegato: «Io sono un semplice iscritto della sezione di via dei Giubbonari di Roma. Sabato non sarò all’assemblea del partito, sarò in Calabria, sul territorio».
Domani il punto principale sarà  la possibile, e non scontata, convergenza su un nome per la successione a Bersani. I due più ricorrenti, finora, sono stati quello di Gianni Cuperlo, sostenuto soprattutto dai dalemiani, e quello di Guglielmo Epifani, che piace ai bersaniani. L’idea è quella di riequilibrare a sinistra il partito, visto il centrista Letta al governo. Ma non è detto che non escano nomi nuovi, magari all’insegna del rinnovamento, propugnato da Renzi e dai suoi, a cominciare da Filippo Gentiloni. Tra i tanti nomi che si fanno ci sono quelli di Claudio Martini, Stefano Fassina, Roberto Speranza e Vannino Chiti. Sergio Chiamparino si è chiamato fuori. Ma potrebbe esserci spazio anche per una figura istituzionale, come quella di Anna Finocchiaro o per figure di mediazione come quelle di Pierluigi Castagnetti e Sergio Mattarella.
Da decidere anche il profilo di questa figura: segretario vero o reggente che guidi il partito fino al congresso? L’assemblea di sabato alla Nuova Fiera di Roma dovrebbe limitarsi all’elezione del segretario e non dovrebbe essere affrontata la questione della modifica dello statuto per scindere la figura del segretario da quella del candidato premier.
C’è chi pone come condizione per il nuovo segretario un «limite di mandato», ovvero che non si ricandidi poi al Congresso. Richiesta fatta da Gianni Pittella, che ha annunciato la sua candidatura, e da Pippo Civati. Che dice: «Serve una figura di garanzia che guidi la transizione, impegnandosi a non candidarsi alla segreteria».
Ma sull’assemblea c’è anche un rischio caos. Perché lo statuto prescrive la presenza necessaria della maggioranza dei componenti dell’assemblea. Alla Nuova Fiera dovranno esserci quindi quasi 500 delegati, la metà  di quelli eletti nel congresso del 2009. A quanto pare, però, molti hanno già  annunciato la loro defezione, per impegni o per protesta. Se non ci fosse la maggioranza, qualunque decisione assunta in mancanza del numero legale sarebbe annullabile su semplice impugnazione da parte del tribunale.
Sabato il partito si presenterà  senza segretario (Bersani è dimissionario), senza vicesegretario (era Enrico Letta) e senza presidente (dimissionaria anche Rosy Bindi). Restano i due vicepresidenti, Marina Sereni (che è vicepresidente della Camera) e Ivan Scalfarotto.


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La «posta implicita» è che adesso si fa come dice lui. Dopo trenta minuti e trenta applausi, verso la fine del suo messaggio alle camere, il nuovo presidente della Repubblica mette in chiaro in cosa si distinguerà  del vecchio: stavolta non accetterà  mediazioni con i partiti, sull’operato dei quali sostanzialmente condivide il giudizio pessimo che ne hanno l’opinione pubblica e la piazza, pur salvaguardandone lui il ruolo.

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