Bagnasco, i fischi e la trans Il miracolo di don Gallo

by Sergio Segio | 26 Maggio 2013 17:46

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A TUTTI noi, in quel momento, è parso di sentirla scendere di lassù la risata così familiare del defunto, don Andrea Gallo, disteso nella bara ornata dai paramenti del sacerdozio e da una sciarpa rossa.
Così il cardinale Angelo Bagnasco, che è anche il presidente dei vescovi italiani, il cui giornale Avvenire aveva relegato tra le notizie minori la morte di uno dei preti più amati della penisola, ha dovuto misurare in prima persona quanto aspro possa diventare il contrasto fra le due Chiese in cui sta dividendosi il popolo dei fedeli. Perché ieri, sia detto a suo merito, Bagnasco s’è concesso a una di quelle rarissime occasioni in cui tale confronto non viene eluso ma vissuto pubblicamente. E non ci si venga a dire che i contestatori appartenevano all’area dell’estremismo politico dei NoTav o dei centri sociali, rimasti fuori sulla piazza. Perché dentro al Carmine era riunito il popolo cristiano dell’angiporto che aveva partecipato con commossa devozione alla liturgia, fino a che l’omelia di Bagnasco l’ha spazientito. Dando luogo a uno di quei moti proverbiali dell’animo genovese cui sarebbe impossibile negare rilevanza nazionale.
Dove è inciampato il cardinale Bagnasco? Nel suo riflesso d’ordine che l’ha indotto a edulcorare l’asperità  dei contrasti fra la gerarchia e l’altra Chiesa testimoniata da don Gallo, compartecipe delle devianze che insorgono dentro la vita sofferente degli ultimi, e perciò anche prete ribelle. Col suo discorso scritto Bagnasco stava riducendo don Gallo a quella indubbia appartenenza ecclesiale che però gli era stata fatta pagare duramente. Accettata per fede, certo, ma per fede anche strattonata, con coraggio, lungo la sua intera esistenza. Come la volta che il prete di strada, nel suo candore, aveva ammesso di aver accompagnato una prostituta disperata a interrompere la gravidanza.
Come le tante volte in cui la gerarchia aveva tentato di ghettizzarlo lontano dai fedeli.
Non stava dicendo il falso, Angelo Bagnasco, quando ricordava i rapporti affettuosi mantenuti dal cardinale Giuseppe Siri, principe della Chiesa più conservatrice, col sacerdote rosso. Ma lo ha fatto censurando il prezzo fatto pagare a don Gallo dai suoi superiori, e allora dai banchi si sono cominciati a udire dei colpi di tosse — singolare forma di contestazione — fino a che tutto il Carmine s’è messo a tossire. Qualcuno ha gridato «ipocrita », altri mormoravano e uscivano. Sinché dalla piazza s’è levato il canto “Bella ciao” e in chiesa i fedeli si sono messi ad applaudire tanto a lungo, ostentatamente, da fargli capire che era meglio farla finita lì. Protetto da Lilli, l’anziana segretaria della Comunità  di San Benedetto al Porto — «Ragazzi, basta, se volete bene a Andrea!» — l’arcivescovo ha avuto il buon senso di cedere la parola a Vladimir Luxuria. Che contrasto, quando la chiesa
ha acclamato il transessuale che ringraziava don Gallo per la sua evangelica accoglienza. E che sorpresa quando lo stesso Bagnasco ha dato la comunione proprio a Luxuria.
Si sono confrontate due Chiese ieri a Genova. E la Chiesa degli ultimi, impersonata da don Luigi Ciotti, si è premurosamente incaricata di proteggere la Chiesa titolare della dottrina. Inchinandosi a essa, ma non senza accenti burberi: «All’extra omnes del conclave io e don Gallo rispondiamo con il “dentro tutti”, dentro i gay, dentro le lesbiche, dentro i divorziati». Il fondatore del Gruppo Abele poteva farsi forza delle parole di Francesco contro «i cristiani da salotto». Perciò si è rivolto con ironia a Bagnasco ricordandoglielo: l’ha detto proprio il nuovo Papa! Prima però aveva rivolto una raccomandazione ai fedeli, a nome di don Gallo: «Se incontrate per la strada qualcuno che sostiene di avere capito tutto, girate al largo!».
Nei giorni scorsi lo stesso giornale cattolico Avvenire che minimizzava l’esperienza di don Gallo, giustamente ha reso onore al magistero di don Pino Puglisi assassinato dai mafiosi e proprio ieri beatificato a Palermo. Ma contrapporre l’uno all’altro questi due preti di strada significherebbe negare una vitalità  del cristianesimo reale, vissuto nel mezzo del dolore degli uomini e dell’ingiustizia sociale da cui in larga misura scaturisce, che purtroppo la Chiesa ufficiale sembra vivere con timore.
Ricordo don Gallo a un comizio della Fiom in piazza del Duomo a Milano, quando ebbe l’ispirazione di mettersi a dialogare con la Madonnina raccontandole le ingiustizie subite dalle migliaia di operai là  riuniti. Un predicatore formidabile del Vangelo, come in altri tempi fu Davide Maria Turoldo. Indimenticabile resta quella giornata del novembre 1991 in cui l’arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, sentì il bisogno di chiedere pubblicamente scusa al vecchio, morente frate dei Servi di Maria per i torti che la Chiesa gli aveva inflitto. Turoldo, incredulo, scoppiò a piangere.
Don Gallo non ha ricevuto questo bene. Ieri nella chiesa del Carmine avrebbe meritato un atto di riparazione da parte del suo vescovo. Glielo hanno tributato in vece sua, a migliaia, i portuali, gli operai, le parrocchiane, i tossicodipendenti, i transessuali, le prostitute, i militanti di un nuovo ordine sociale, il sindaco, gli amici. Con quei colpi di tosse e con lacrime di riconoscenza.

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