by Sergio Segio | 28 Maggio 2013 7:42
CALCUTTA. Era da anni che l’offensiva maoista indiana non attaccava così duramente l’establishment politico nazionale. E non sorprende che, tra i territori che i naxaliti controllano lungo il Corridoio Rosso (dall’Andhra Pradesh fino al Bengala Occidentale), il colpo mortale sia andato a segno in Chhattisgarh, teatro delle repressioni più atroci contro i «tribali comunisti».
Nel pomeriggio di sabato centinaia di miliziani naxaliti hanno circondato il convoglio di 36 veicoli che trasportava i pezzi grossi della leadership locale dell’Indian National Congress (Inc), in tour pre campagna elettorale in vista delle elezioni di ottobre. Il commando spara per oltre un’ora, lasciando sul campo 27 morti e una trentina di feriti, bilancio già statisticamente ingente senza considerare la caratura delle vittime dell’imboscata: ex ministri, presidenti del parlamento locale, deputati al governo federale, una mattanza che decapita la leadership dell’Inc in Chhattisgarh e impone riflessioni complesse, profonde e dolorose.
L’obiettivo dichiarato del nucleo naxalita si chiamava Mahendra Karma, leader dell’Inc già scampato a quattro attentati negli ultimi anni. Un accanimento particolare riservato al fondatore e comandante del Salwa Judum, l’esercito tribale filo-governativo formato per sradicare i maoisti dalle campagne del Chhattisgarh. Mezzi leciti o meno, poco importa; il «terrorismo rosso», individuato come principale minaccia alla stabilità del Paese dal premier Manmohan Singh, dal 2005 si è combattuto in Chhattisgarh come altrove lungo il Corridoio Rosso in deroga alle leggi che imporrebbero, nella più grande democrazia del mondo, il rispetto dei diritti umani.
I tribali armati dallo Stato e lanciati allo sbaraglio tra le file del Salwa Judum – «caccia purificatrice» nella lingua locale – si sono macchiati di crimini pari a quelli attribuiti ai naxaliti che erano stati chiamati a contrastare. Un rapporto dell’Asian Center for Human Rights indica: «Le forze di sicurezza del Salwa Judum si sono rese responsabili di evidenti violazioni dei diritti umani e delle leggi umanitarie tra cui tortura, esecuzioni di massa e stupri…».
La maggior parte dei miliziani, pagati poco più di duemila rupie al mese (nemmeno 30 euro), venivano presi dalle sacche di ignoranza e povertà dell’adolescenza rurale, programmati per uccidere coetanei e parenti arruolati nella guerriglia maoista. Nel 2011 la Corte suprema indiana ha messo al bando il Salwa Judum, mentre le famiglie vittime delle angherie governative – in sei anni di attività omicidi e stupri si contano a centinaia – non hanno nemmeno diritto a un risarcimento. Lo Stato paga solo se i cattivi sono i naxaliti.
A due giorni dalla strage del distretto di Bastar, il dibattito è stagnante. «Non ci piegheremo ai naxaliti», dice il premier Manmohan Singh. «È un attacco ai principi democratici del Paese», dichiara Rahul Gandhi, probabile candidato premier per l’Inc. «Tolleranza zero» dice Narendra Modi, probabile candidato premier per i conservatori del Bharatiya janata party. Da destra a sinistra, tutti d’accordo con azioni repressive, mentre sui social network si invoca l’intervento dell’esercito e dei droni, come gli Usa nel vicino Pakistan.
La questione naxalita affonda però le radici in problemi strutturali che Delhi, sin dalla nascita del movimento dal villaggio bengalese di Naxalbari negli anni ’60, non ha saputo affrontare. Corruzione dilagante, polizia e burocrazia onnipotenti, espropri forzati e riconversione dei campi in zone industriali, discriminazione razziale: battaglie che i maoisti hanno abbracciato guadagnando un seguito imponente nelle zone rurali, sostituendosi spesso all’apparato statale nelle faccende di ordinaria amministrazione come distribuzione del cibo, creazione di posti di lavoro, manutenzione delle infrastrutture. Al vuoto istituzionale lo Stato ha contrapposto una militarizzazione del territorio, innescando di fatto una guerra civile. Un conflitto che, senza una vera trattativa tra le parti, non potrà che continuare a mietere due tipi di vittime: gli illustri e i politici, martirizzati dimenticando un passato scomodo; e i «collaterali», carne da macello tribale buona nemmeno per i titoli dei giornali.
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