Andreotti morto, si è spento nella casa di Roma. Aveva 94 anni

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Addio al Divo. Giulio Andreotti, presidente del Consiglio dei ministri per sette volte e molte volte responsabile dei dicasteri di Difesa, Esteri e anche Economia, è morto oggi alle 12.25 nella sua abitazione di Roma. Aveva 94 anni. Proprio l’anno scorso, nel mese di maggio, si diffuse la notizia della sua scomparsa, ma l’ironia del politico era viva e vegeta: “Mi danno per morto, bene mi allunga la vita” disse dopo un ricovero in ospedale. Nato a Roma nel 1919, è stato uno dei protagonisti assoluti più controversi e discussi della politica italiana. I funerali del senatore a vita, che non aveva partecipato al voto di fiducia del governo Letta perché da tempo in precarie condizioni di salute, si svolgeranno domani pomeriggio nella Capitale. Non ci sarà  la camera ardente e non saranno celebrate esequie di Stato.

Nella lunghissima carriera politica Andreotti aveva anche affrontato accuse pesantissime come quella di essere il mandante dell’omicidio Pecorelli o di essere stato un referente a tutti gli effetti della mafia. Processi da cui era uscito indenne grazie ad assoluzioni e una prescrizione, anche se per quel rapporto con Cosa Nostra era stato riconosciuto colpevole fino alla primavera del 1980. Quando il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta raccontò la storia del bacio a Totò Riina ai colpevolisti sembrava che un romanzo Criminale si fosse innestato in quello Politico.

“Nel 1919 sono nati il Ppi di Sturzo, il fascismoe io. Di tutti e tre sono rimasto solo io”, si gloriava ultimamente. Da giovane, era un ragazzo religioso, studioso, molto serio, la schiena già  lievemente incurvata e le idee chiare sul suo futuro. Unici divertimenti le partite della Roma, al vecchio stadio di Testaccio, e le corse dei cavalli all’ippodromo delle Capannelle.

Nel 1946, a 28 anni, era già  sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con una delega particolare per lo spettacolo. Fu nel 1972 che riuscì ad arrivare alla presidenza del Consiglio. Lo scelsero con scarsa convinzione, per dar vita a un governo di centro dalle scarse prospettive. E infatti fu il governo più breve della storia repubblicana: solo nove giorni, dalla fiducia alle dimissioni. Emblematico il suo rapporto con Bettino Craxi. Il leader socialista non lo vedeva di buon occhio e fui lui a coniare il soprannome di Belzebù. Andreotti era “la volpe che finirà  in pellicceria”. Ma qualche anno dopo dopo, di nuovo a Palazzo Chigi, Andreotti strinse un patto di ferro proprio con Craxi : erano gli anni del “caf” (dalle iniziali di Craxi , Andreotti e Forlani) e l’opposizione di sinistra lo considerava come il peggio del peggio della politica italiana. Il film “Il Divo” di Paolo Sorrentino lo ritrae come responsabile o complice di mille nefandezze. Lui stava per querelare, ma poi preferì lasciar correre: era più andreottiano così: forse anche perché, altra sua perla di cinica saggezza, “una smentita è una notizia data due volte…”.


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