by Sergio Segio | 5 Aprile 2013 16:30
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Mentre la casa Europa brucia, i capi di stato e di governo europei negoziano a porte chiuse la somma da stanziare per i danni provocati dall’acqua usata per spegnere l’incendio. Ma difficilmente si può rimproverare loro di aver perso il contatto con i cittadini. Come avrebbero potuto perderlo, visto che non l’hanno mai avuto? Il sistema in cui viviamo non prevede né autorizza alcuna rappresentanza democraticamente legittima della popolazione europea.
Chi, uomo o donna e democraticamente legittimato – e quindi eletto – faccia politica a livello europeo, è arrivato a questa posizione solo attraverso un voto nazionale e deve, per sopravvivere politicamente, difendere la finzione degli “interessi nazionali”. Oggi in occasione dei vertici europei chiunque ostacoli l’interesse comune per ottenere l’approvazione del suo elettorato, danneggia tutti gli altri stati – compreso il suo paese – attraverso il gioco delle interdipendenze del mercato comune e della zona euro.
E gli elettori che lo acclamano, invece di imparare da queste difficoltà , accettano passivamente. Ai giorni nostri nessuno stato europeo può risolvere un problema da solo, anche se le strutture istituzionali dell’Ue impediscono le soluzioni collettive. Quella che noi chiamiamo “crisi” non è altro che il riflesso di questa contraddizione e quello di cui discutiamo sono solo i suoi sintomi.
Questa situazione divide l’Europa, e la distanza fra i rappresentanti politici – che si considerano come dei pragmatici – i cittadini e qualche sognatore è sempre più grande.
[1] La crisi è colpa dei pragmatici, perché hanno cercato di fare solo quella che era “possibile”. Prendiamo l’esempio della moneta unica: il suo principio iniziale è stato sabotato dalle reticenze e dai dubbi nazionali, che hanno impedito l’adozione degli strumenti politici necessari alla sua gestione sovranazionale.
Al contrario, i problemi che derivano da questa contraddizione si sono rinazionalizzati: i debiti sono colpa degli stati, e gli stati sono obbligati a fare uno sforzo nazionale. Com’è possibile allora che questa crisi possa essere risolta da quegli stessi pragmatici che la hanno provocata? La legittimazione di questi dirigenti si deve ai cittadini; sono loro che obbligano i loro rappresentanti alla difesa degli interessi nazionale e si allontanano dall’Europa.
E i sognatori? Erano e rimangono i veri realisti. A loro si deve la capacità di aver tratto delle conseguenze sagge e realistiche – che ai loro tempi sembravano utopiche – sulle esperienze del nazionalismo e della Realpolitik europea che avevano ridotto l’Europa in cenere.
Il primo presidente della Commissione europea, il tedesco Walter Hallstein, ha detto: “L’idea europea è l’abolizione della nazione”. Una frase che oggi né l’attuale presidente della Commissione né il cancelliere tedesco oserebbero pronunciare. Eppure è il riflesso della verità .
Se ascoltassimo i sognatori avremmo da molto tempo trovato una soluzione alla crisi. Il sogno, la soluzione, è la Repubblica europea. Le regioni europee – senza perdere le loro particolarità – si potrebbero sviluppare liberamente in un quadro di diritto comune, invece di essere inserite in nazioni concorrenti.
Sul lungo periodo l’Europa nella quale viviamo non è pensabile negli attuali limiti politico-economici, perché la democrazia nazionale e l’economia sovranazionale sono difficilmente conciliabili. Ci muoviamo in uno spazio monetario comune ma agiamo come se le nostre economie fossero ancora nazionali e in concorrenza l’una con l’altra. Per questo motivo l’eurozona ha bisogno di una democrazia transnazionale, di una Repubblica europea dalle regole politiche, economiche e sociali identiche per tutti.
La repubblica è il nuovo progetto europeo. Un progetto capace di organizzare il suo territorio a partire da adesioni volontarie, di costruire la sua unità attraverso trattati che garantiscano una pace stabile. Questa repubblica si libera dell’idea di nazione e costruisce il primo continente postnazionale della storia. Gli Stati Uniti, sul modello degli Stati Uniti d’America, sono un’idea datata. L’avanguardia è l’Ue.
Il Consiglio europeo, e attraverso di esso gli stati membri, chiede di esercitare un’autorità sulla costruzione europea che di fatto non esiste, perché quello di cui si parla all’opinione pubblica e in occasione delle elezioni sono solo illusioni. Il vero problema dell’Europa è la sovranità nazionale.
Se la posizione dell’Europa cambia a proposito dell’unione bancaria e della mutualizzazione del debito, allora è la decisione comune sulle spese che dovrà essere organizzata diversamente.
L’eurozona, che rappresenterà il nucleo principale di una repubblica europea, avrà bisogno di un parlamento della zona euro dotato di un diritto d’iniziativa, di un diritto di voto libero da scadenze nazionali, di un ciclo di bilancio indipendente dalla durata dei mandati legislativi e al tempo stesso delle competenze (quanto meno parziali) in materia di politica fiscale. La soluzione potrebbe essere rappresentata dagli eurobond in grado di colmare il deficit sistematico dell’euro.
Nella logica di una res publica europea, i profitti prodotti dalla creazione di ricchezza su scala comunitaria dovrebbero essere redistribuiti per trovare un equilibrio economico fra centro e periferia. In questa logica e in questi tempi di recessione un’assicurazione comunitaria contro la disoccupazione renderebbe possibile la transizione verso un sistema sociale europeo.
L’economia, la moneta e la politica vanno di pari passo, e solo una politica comune per tutta l’Europa e legittimata da una democrazia sovranazionale riuscirà ad avere la meglio sull’economia. Avere un bilancia commerciale nazionale basata sull’esportazione non rappresenta una strategia valida. Soprattutto quando l’80 per cento del profitto delle esportazioni di un paese membro proviene dal mercato interno. Questa è in realtà è una truffa della bilancia commerciale europea.
In tutta la storia delle idee politiche dai tempi di Platone ai giorni nostri, la res publica è di gran lunga la nozione più preziosa. Di fatto è il principale argomento di promozione dell’idea europea in un mondo globalizzato, ed è intorno ad essa che si può creare un sentimento di appartenenza al “noi” europeo.
Nella res publica si ritrova l’idea di un plebiscito positivo in favore dell’organizzazione politica di una comunità , dalla quale si possono ricavare come obiettivi normativi i principi di giustizia sociale e di benessere generale. Non dimentichiamo che questi principi non sono così evidenti: per esempio non lo sono negli Stati Uniti e neppure nella Russia autocratica-oligarchica, per non parlare della Cina predemocratica.
Oggi nessuno può dire a cosa assomiglierà questa nuova democrazia postnazionale ed europea, questo progetto d’avanguardia nella storia mondiale. Discutere questo progetto – con tutta la fantasia, l’inventiva, la creatività di cui questo continente è capace – è il compito che oggi ci dobbiamo dare, altrimenti la pace europea e il suo fantasma potrebbero ritorcersi contro l’Europa stessa. Viva la Repubblica europea!
Traduzione di Andrea De Ritis
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