Un qaedista o un nemico interno Le due piste degli investigatori
WASHINGTON — I terroristi come i folli stragisti, se devono operare in un territorio sorvegliato come gli Usa, usano le stesse tecniche. Ordigni fatti in casa, con prodotti d’origine militare — quando riescono ad ottenerli — o più facilmente con ingredienti che acquistano dal ferramenta. Poi lavorano con tubi, contenitori sigillati, timer, lampadine, tinture per i capelli. Un garage, un seminterrato, la cucina si trasformano nel laboratorio dove mettono a punto le trappole attivate spesso da un cellulare. Metodo — sembra — usato anche a Boston. Un rapporto federale ha messo in guardia sul pericolo delle IED, le bombe artigianali, anche sul territorio statunitense. Tecniche importate dai conflitti mediorientali fuse con modus operandi perfezionati da elementi neonazi. La storia americana è macchiata dal sangue di estremisti razzisti, qaedisti e lupi solitari che hanno agito in modo spettacolare preparando i loro agguati mimetizzati da persone normali. Troppi i nemici dell’America. E il dramma di Boston, per ora, è aperto a tutte le ipotesi. Le notizie si susseguono, compresa quella che parla di un uomo in stato di fermo. Per il New York Post sarebbe un saudita, piantonato in un ospedale perché ustionato gravemente, mentre altre fonti non precisano nazionalità o razza. Gli investigatori prima hanno smentito, poi confermato. L’unica cosa certa è che si è trattato di un attacco «coordinato e pianificato». E volevano che si vedesse in diretta tv per aumentarne gli effetti.
Il nemico interno
Militanti di estrema destra — dagli xenofobi agli anti Stato — hanno la volontà di uccidere. Negli ultimi mesi c’è stata una recrudescenza di atti violenti, dal Colorado al Texas, con uomini di legge eliminati da killer «ariani». Poi ci sono i precedenti storici. Eric Rudolph ha seminato morte ai Giochi di Atlanta (luglio 1996) usando dei cilindri-bomba. Un anno prima una coppia di terroristi bianchi — era il 19 aprile 1995 — ha devastato il palazzo federale di Oklahoma City. Di nuovo, nel 2011, un altro estremista ha cercato di colpire, nello stato di Washington, la marcia per Martin Luther King lasciando uno zainetto con una bomba rudimentale. Attentato fallito di poco. Casi clamorosi che segnalano però un’ideologia dura. In alcune zone questi nuclei agiscono scollegati, con basi locali. In altre tendono a creare un network fluido, senza capi apparenti. Non manca neppure il caso dell’Unabomber, qualcuno che si muove in solitario ma con ferocia. Per i motivi più diversi. Del resto quanto è avvenuto in Norvegia ha dimostrato come Anders Breivik sia riuscito a fare strage senza alcun complice. Il movente per questi gruppi o individui è variegato. Ai loro occhi lo Stato è «tiranno», «mette le tasse», «vuole portare via le armi agli americani veri». Un dibattito riesploso in questi giorni. Qualcuno ha sottolineato che l’ultimo miglio della maratona era dedicato alle vittime della scuola di Newtown. Altri rammentano che ieri era Patriot Day, festa che ricorda la battaglia contro gli inglesi nel 1775. C’è un legame? Presto per dirlo.
Le micro-cellule qaediste
I seguaci di Osama da tempo si affidano a microcellule, a volte create da un singolo mujahed. Meglio se da tempo residente negli Usa o con documenti puliti. È un ripiego vista l’impossibilità di sferrare operazioni come quella dell’11 settembre. Una minaccia dalla doppia lettura: questo tipo di terroristi è difficile da scoprire, ma spesso ha capacità minori. Sono dei fai-da-te con logistica al minimo, risorse relative, però «esplodono» di determinazione. Un pachistano-americano ha provato a far saltare un’autobomba a Times Square, New York. Un afghano voleva devastare le linee del metrò della Grande Mela. Hanno sbagliato all’ultimo istante o li hanno fermati prima del disastro. Il loro obiettivo resta quello della paura, vogliono costringere l’America (e non solo) a misure eccezionali perché scorticano i nervi e creano costi aggiuntivi. Di recente i siti jihadisti avevano minacciato «attacchi potenti» anche negli Usa e hanno invitato a prendere di mira «eventi sportivi». Quando sembra che l’onda lunga del 2001 possa perdere forza, ecco una sorpresa che costringe a riattivare «la lotta al terrore». Tutti avrebbero voluto sepellire l’emergenza insieme al cadavere di Osama e invece c’è sempre qualcosa che lo impedisce.
Guido Olimpio
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