by Sergio Segio | 20 Aprile 2013 8:23
CARACAS. Da una parte l’odio, dall’altra la musica. Marilisnet, artista di strada, sintetizza così la crisi politica che sta attraversando il Venezuela. Da una parte i fuochi artificiali per i 203 anni dell’indipendenza nazionale, dall’altra gli assordanti rumori di pentole provocati dall’opposizione. «Sono arrabbiato – dice con il suo accento di Buenos Aires il giovane Raul – noi in Argentina abbiamo usato il cacerolazo contro il sistema, contro i banchieri, questi lo usano contro di noi. Qui banchieri, oppressori, golpisti giocano a confondere le carte». Sprazzi di un Venezuela in questo delicato momento di transizione. Il 14 aprile, Nicolas Maduro ha vinto su Henrique Capriles Radonski, candidato di opposizione, con uno scarto di 272.865 voti. Un’elezione di misura, ma certificata da tutti gli organismi internazionali presenti e accompagnata da oltre 50 nazioni, che ieri hanno partecipato al giuramento di Maduro davanti all’Assemblea nazionale.
Capriles – leader della Mesa de la unidad democratica (Mud) – ha gridato alla frode, chiesto il riconteggio dei voti, uno per uno, e scatenato scontri che hanno provocato la morte di 8 militanti chavisti – decorati come «eroi della rivoluzione». Un piano programmato, secondo il governo, preannunciato da 3 deputati di opposizione: i quali, il 26 marzo, avevano dichiarato che la Mud aveva già deciso di non riconoscere i risultati delle presidenziali. Capriles ha dovuto revocare la manifestazione nazionale indetta contro il Consiglio nazionale elettorale, e ha optato per una battitura di pentole a livello nazionale. Il suo comando elettorale Simon Bolivar (altro scippo al pantheon avversario) ha consegnato al Cne un pacchetto di presunte trasgressioni elettorali e ha chiesto la riconta manuale di tutti i voti. Una richiesta inconsistente, dato che la costituzione bolivariana ha optato per un sistema automatizzato, e che una successiva proposta dell’opposizione ha stabilito che si verifichi il 54% dei voti (una prassi attuata anche il 14 aprile).
Ieri il Cne ha annunciato che riconterà il 46% dei voti e Capriles ha accettato la decisione. Lo staff della Mud ha comunque disertato la cerimonia di giuramento di Maduro, come aveva preannunciato. Al contempo, ha protestato per la reazione di Diosdado Cabello, presidente dell’Assemblea nazionale, che ha destituito dall’incarico parlamentare di commissione i deputati contestatari. Continua, intanto, lo scontro fra i due schieramenti del paese. Diversi Centri diagnostici integrati (Cdi), gestiti da medici cubani che sostengono il socialismo bolivariano, sono stati devastati. Alcune delle vittime sono state uccise nel tentativo di difendere queste strutture sanitarie popolari. Ieri, una dottoressa cubana è stata aggredita e ferita al volto mentre apriva il dispensario, nello stato di Bolivar. Alcune strutture chirurgiche d’eccellenza, dedicate al servizio pedriatico d’urgenza sono state danneggiate. Il governo cubano – che l’opposizione considera causa di sprechi per via del petrolio a basso costo fornitogli dal governo bolivariano – ha fatto sapere che manterrà il suo impegno nelle Misiones venezuelane.
La confusione, usata come arma di lotta politica, è al centro della scena. Governo e opposizione impiegano il termine «fascista» e «nazista» come reciproco insulto, e bisogna avere lenti forgiate nel secolo delle cosiddette «grandi ideologie» per capire da quale lato del tavolo si posizionino i due schieramenti: per cogliere, dietro il marketing delle parole, i nudi fatti. Da una parte un progetto che ha messo al centro gli ultimi, dandogli pane, lavoro, cultura e dignità . Dall’altro, il campo dei poteri forti abituato a dettar legge.
Chà¡vez non c’è più. Non c’è più il «caudillo», l’«indio vociante» che infastidiva il re di Spagna. Ora c’è Maduro, l’operaio che ha studiato a Cuba, comunque inviso ai salotti buoni. Prima di assumere l’incarico, Maduro è volato a Lima per la riunione straordinaria dell’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) che lo ha riconosciuto come presidente e ha raccomandato una soluzione in base alle leggi vigenti. Il campo di opposizione, ieri aveva annunciato l’intenzione di andare a sua volta a Lima, per denunciare quella che considera una situazione illegale.
Prima di partire, Maduro ha accusato la «destra pinochettista» che cerca di mimetizzarsi con un discorso di centrosinistra. Ha ricordato l’incontro che il suo governo ha avuto con alcune grandi imprese private. «Da noi tutti possono venire a lavorare – ha detto -, a condizione di sviluppare forze produttive, assicurare un salario adeguato alle nostre leggi, pagare le tasse e rispettare i lavoratori. Ma una cosa è lavorare, un’altra è governare. E qui comanda il popolo, rappresentato dal suo presidente: che non è in vendita, come non lo è nessuno di quelli che governano nella memoria eterna di Hugo Chà¡vez. Se ricevessi l’appoggio della grande borghesia, comincerei a dubitare di me stesso».
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