Tra sfoghi e colpi bassi va in onda sulla web tv lo psico-streaming del Pd

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SFOGATOIO pd in psicostreaming. Ovvero: come le nuove piattaforme digitali cambiano e nel caso specifico alterano, anzi stravolgono e comunque drammatizzano oltre ogni limite, anche di buona creanza, il linguaggio della politica in un passaggio cruciale.
E in compenso riacquista peso, se non la verità , almeno una certa aderenza ad essa, per quanto cruda, e così fra battibecchi e fuorionda, inquadrature impietose e brulichio in sala, per la prima volta di colpo sugli schermi della rete si è potuto vedere il Partito democratico come mai finora si era visto.
Incidenti e/o fraintendimenti a loro rivelatori. «Ma questo — si è sentito da parte di Rosy Bindi nel mentre il compagno Ranieri proponeva Renzi — ma questo lo dobbiamo far parlare per forza?». Vero è che la presidentessa (dimissionaria) non ha peli sulla lingua, come noto, e infatti giù per la strada, duramente contestata da un militante parecchio animoso, la si è sentita borbottare: «Ma io gli do un pugno!».
E tuttavia la scenetta non c’entra con la diretta web. Quest’ultima semmai ha offerto ai navigatori visioni meno movimentate, ma assai più spettrali. Bersani ad esempio non ha perso una certa attitudine pedagogica, ma in nemmeno due mesi sembra invecchiato di dieci anni. Ciò nondimeno si è comportato come se fosse ancora il leader, cioè sedeva al tavolo della presidenza, ha aperto la riunione, e poi ha commentato, ha risposto, ogni tanto si alzava passeggiando avanti e indietro senza curarsi della telecamera.
In tutti, per una volta, il nervosismo era palpabile e a tal punto manifesto da tener fuori dalla sala il grande, sottile, furbo e reticente Narciso che di solito governa questo tipo di incontri. Un contributo particolare, nel senso della tensione, è venuto sin dalle prime battute dall’esponente
campano Francesco Vittoria, il quale ha ritenuto di accennare, in modo invero non troppo cavalleresco, al caso di Alessandra Moretti, già  portavoce bersaniana in fase di pentimento, e al criterio di selezione dei dirigenti in base a criteri estetici e di casting. Dal fondo si sono sentiti rumori e preteste.
A quel punto Bindi ha fatto un tenue appello alla necessità  di raffreddare clima. L’onorevole giovane turco Orfini, negli ultimi giorni non esattamente rimarchevole per coerenza, ha pronunciato quindi un discorso forse un po’ troppo obliquo per non suscitare la sua quota di reazioni e brontolii. Si consentirà  di non entrare nel merito politico del dibattito e delle singole posizioni, anche perché era il tratto umano, per una volta, erano i volti, gli sguardi, le smorfie, le rughe, gli applausi stentati del consesso che secondo inedite modalità  si guadagnavano l’attenzione del pubblico.
L’estetica streaming d’altra parte era quella che era; e anche la regia, a parte un pregevole primo piano di Letta che maltrattato dalla solita Bindi ha preso a massaggiarsi stizzosamente una guancia con il pollicione. La fissità  delle immagini, la sala piena di ombre, i dirigenti ripresi da dietro, qualcuno che sempre passa come un’ombra fuggevole sullo sfondo; l’impressione generale, insomma, confermava quella espressa da Michele Serra dopo l’incontro tra Bersani e il M5S: «porno fatti in casa» e «consolle da guardiole di sorveglianza».
Si sa: il mezzo è il messaggio. Franco Marini, redivivo, è apparso sul video piuttosto lucido e a suo agio, perfino ringiovanito.
Come se nulla fosse, o quasi. Bersani si è infelicemente complimentato ribadendo che sarebbe stato un ottimo presidente della Repubblica. Abbastanza dialettico Franceschini, ma preoccupato. Con comprensibile partecipazione ha rammentato la brutta avventura del ristorante. Molto risentita, per quanto indomita, Anna Finocchiaro per la storia delle padelle Ikea rinfacciatale da Renzi, e ha rimproverato al partito — leggi Bersani e nomenklatura — di aver tutelato lei e altri dirigenti.
Traumi, rancori, dimissioni, resa dei conti, colite spasmica e commozione cerebrale, tutto ormai è sottosopra nel Pd. E il tempo stringe, Napolitano aspetta una qualche delegazione del Pd. «Alle 18,30 — avverte Ranieri, tanto per distendere gli animi — si chiude il portone del Quirinale». L’elenco degli iscritti a parlare è ancora lungo. Debora Serracchiani vorrebbe tanto «portare luce e speranza», ma chiede conto degli errori. Bersani le risponde,
classico dialogo tra sordi. Tutti cominciano col dire che questo o quello ci sarà  tempo di affrontare, ma ora occorre prendere una decisione, presto, presto, presto. Viene da chiedersi come mai si sono riuniti solo alle 16 e non prima. Cosa avranno fatto la mattina? Lo sanno o no che molte federazioni sono occupate?
Ma soprattutto viene da pensare: ecco che cosa succede quando un partito, estenuato da un numero inverosimile di caminetti e paralizzato da finti unanimismi, perde completamente non solo l’abitudine di confrontarsi e votare, ma anche quella di dire ciò che si pensa veramente.
Bersani di nuovo si sgranchisce le gambe. Letta ha la faccia del gatto mammone e legge l’ordine del giorno. Bindi sbuffa e stringe. Tre minuti per Fassina: non memorabili. Per Gentiloni, moscio anziché no. Per Laura Puppato, resta in testa solo un suo accenno alla «malattia». Renzi, beato chi l’ha visto, il suo alias elettronico è in sala, ma fuori dagli schemi. E come pure si può dire: chi s’è visto, s’è visto.


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