Sul governo il sigillo del Colle E si apre il cantiere delle riforme

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ROMA — Entra nella Loggia alla Vetrata mentre il neopremier sta finendo di leggere la lista dei ministri, lo affianca e si sposta subito verso il microfono. Parla per tre minuti, per spiegare che cosa è questo esecutivo e che cosa adesso ci si aspetta dalla politica. E alla fine si concede un lungo e caloroso saluto, a uso di cameraman e fotografi.
Ora, se è vero che il linguaggio del corpo è traducibile come una scienza esatta, l’intreccio a quattro mani tra Giorgio Napolitano ed Enrico Letta esprime molto più che il sollievo per una sfida vinta da entrambi. Dato che a spingersi per primo in quel gesto è il presidente della Repubblica, sembra soprattutto una dichiarazione non verbale di tutela e di alto patronato. Un inedito — e di sicuro non involontario — atto di comunicazione per sottolineare che lui sarà  insomma il Lord Protettore dell’esecutivo «di servizio» (il Vaticano vorrebbe fosse «di riconciliazione») chiamato stamani a giurare.
Certo, il capo dello Stato tiene a chiarire che questo non è un «governo del presidente», un «governissimo» o comunque lo si voglia definire nel gioco dei nominalismi tipico delle fasi d’emergenza. È â€” sillaba con tono pedagogico — un «governo politico, formato nella cornice istituzionale e nella prassi della nostra democrazia parlamentare». Di più, «l’unico possibile». E Letta ne è stato «l’artefice», puntualizza, precisando che lui ne avrebbe solo «assecondato il tentativo e lo sforzo». Una veniale minimizzazione, visto che i più pericolosi scogli nella navigazione del premier incaricato sono stati aggirati grazie ai suoi suggerimenti e, forse, ad alcune telefonate concertate al momento giusto.
Qualcuno nelle ultime ore aveva ribattezzato King George come il king maker della partita, e non ha sbagliato più di tanto. L’architettura del Letta-1, la prima prova in Italia di una coabitazione governativa tra sinistra e destra, pare infatti calibrata su misura delle sue raccomandazioni: «novità » (7 donne, di cui 5 con portafoglio, su 21 ministri, con l’aggiunta di altre sorprese), «freschezza» (l’età  media è molto più bassa del solito), «competenza» (nei posti chiave c’è gente di standing elevato anche in Europa).
Ci si è arrivati dopo l’esclusione dei big (e dei «falchi») dei due partiti maggiori, ciò che anche sul Colle era sembrato il solo modo di chiudere una partita che si stava intossicando per opposti veti, e dopo aver messo in equilibrio le cariche (e, a parte il bilancino sulle correnti Pd, il nome di Alfano è quello che ha chiuso il cerchio). E se, nel bilanciamento complessivo, il Pdl può vantarsi d’aver fatto una discreta vendemmia, Napolitano può considerarsi a sua volta soddisfatto delle scelte per i delicati ministeri di Esteri, Economia, Lavoro e Difesa. Una soluzione che viene attribuita proprio a lui.
Da domani, completato il passaggio del giuramento, Enrico Letta verificherà  se il Parlamento gli darà  il via libera. Tra le forze di maggioranza i malesseri non sono stati ancora metabolizzati e l’esito del voto di fiducia potrà  dunque essere condizionato dal discorso d’investitura del premier. Discorso nel quale, emergenza economica a parte, è lecito attendersi un cenno a quella «Convenzione per le riforme» di cui si era discusso parecchio e alla quale il capo dello Stato tiene, come dimostra il fatto che abbia creato la doppia commissione dei «saggi» proprio su questi temi. Mettere al lavoro un simile organismo — si diceva — potrebbe creare un clima più disteso, in grado di sottrarre il governo alle inevitabili tensioni della politica. Chissà , con un interfaccia a Palazzo Chigi come Gaetano Quagliariello, esponente dell’anima più dialogante del Pdl, potrebbe scaturirne qualcosa di buono.
Marzio Breda


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