“Stato-mafia, distruggete le intercettazioni di Napolitano”

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PALERMO — La Cassazione mette la parola fine alla querelle sorta attorno alle intercettazioni del presidente della Repubblica. La sesta sezione penale ha dato il via libera alla distruzione delle quattro telefonate fra Giorgio Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, finite casualmente nell’inchiesta dei pm di Palermo sulla “trattativa”.
Era stato Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco amico dei boss, il testimone-imputato del processo sulla trattativa mafia- Stato, a chiedere l’ascolto dei nastri, fino ad oggi rimasti segreti: «Potrebbero esserci elementi utili per la mia difesa», aveva scritto in un ricorso firmato all’indomani della sentenza con cui la Corte Costituzionale aveva deciso la distruzione delle conversazioni del capo dello Stato. Così, in extremis, le operazioni di cancellazione avviate dal gip di Palermo si erano fermate, in attesa della decisione della Cassazione. Che adesso è arrivata.
«Ora si va avanti con la distruzione », dice il presidente dei giudici delle indagini preliminari di Palermo, Cesare Vincenti: «Attenderemo il deposito delle motivazioni del provvedimento per stabilire la data». Dunque, i tempi, potrebbero anche non essere brevissimi. Da uno a due mesi, è il tempo necessario per la stesura delle motivazioni. Ma la decisione è comunque presa. E ribadisce l’esito del conflitto di attribuzione sollevato a luglio dal Quirinale: quei dialoghi, già  definiti dalla Procura di Palermo «irrilevanti per l’indagine trattativa » in cui Mancino è stato prima testimone e poi indagato, vanno cancellati. Ma il caso non è chiuso.
Proprio per quelle telefonate, uno dei magistrati simbolo dell’inchiesta di Palermo, Nino Di Matteo, è stato messo sotto accusa dalla Procura generale della Cassazione: l’avvio del procedimento disciplinare contesta al pm di avere rivelato con un’intervista a Repubblica l’esistenza di quei dialoghi, con ciò violando «il diritto alla riservatezza del capo dello Stato». Di Matteo contesta questa ricostruzione e prepara la sua difesa davanti al Csm.
Intanto, fra nuove lettere anonime che minacciano attentati proprio contro Di Matteo, i magistrati del pool portano avanti l’inchiesta bis sulla trattativa. Ieri, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e il sostituto Roberto Tartaglia hanno interrogato ad Arezzo Licio Gelli, l’ex venerabile della P2 che oggi ha 94 anni. I pm gli hanno chiesto delle sue frequentazioni con una persona che sarebbe stata in contatto con l’ex sindaco Ciancimino e con Mario Mori, l’ufficiale dei carabinieri che è fra gli imputati del processo trattativa (prima udienza, 27 maggio). Gelli avrebbe negato di conoscere quell’uomo. Di certo, nulla trapela sull’identità  di questa nuova figura che entra nell’inchiesta: secondo i pm, potrebbe essere l’anello di collegamento fra mafia, massoneria e istituzioni.


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ESERCITO. Se ci parli ti raccontano tutti la stessa storia: «Stiamo perdendo il nostro tempo facendo una cosa inutile: passiamo ore e ore a montare la guardia per sorvegliare qualcosa dove non succede niente. Propaganda, ecco quello che siamo, pura propaganda per il governo che pensa di fare bella figura con gli italiani usando le nostre divise mentre invece potremmo essere utilizzati in cose molto più serie».

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