Siria, liberati i giornalisti italiani

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LIBERI, infine. Amedeo Ricucci, Susan Dabbous, Andrea Vignali ed Elio Colavolpe stanno bene e sono rientrati ieri sera in Italia, dopo nove giorni in mano ai ribelli siriani. Detenzione, rapimento, sosta per chiarimenti: nel balletto delle definizioni più o meno politicamente significative è entrata persino la Farnesina, per voce di Staffan de Mistura. Il sottosegretario ha voluto precisare che i giornalisti di La storia siamo noi «sono stati trattenuti, non rapiti». Al di là  degli obblighi di linguaggio diplomatico, è un modo con cui il ministero degli Esteri esclude ogni ipotesi di pagamento di un riscatto.
Le voci che circolavano nei giorni scorsi, su una trattativa che durava a lungo perché legata a un tira e molla su una somma di denaro, sono seccamente smentite da chi ha seguito il negoziato. I nove giorni di “permanenza coatta” sarebbero legati all’esame dei quattro, delle credenziali e soprattutto del materiale realizzato. Tre le fasi del controllo: la prima è stata la visione dei filmati realizzati dalla troupe: i quattro avrebbero ripreso oggetti “sensibili”, cioè installazioni militari, per cui i miliziani hanno voluto un controllo dettagliato, per sgombrare il campo dai sospetti su una possibile attività  di spionaggio.
La seconda fase del controllo è stato un non meglio chiarito “esame religioso”. Proprio questo passaggio suscitava preoccupazione nelle persone impegnate a negoziare, per la presenza della giovane Dabbous, nata in Siria ma di cultura occidentale. Si temeva che fra i ribelli più fondamentalisti qualcuno potesse eccepire sulle abitudini personali della ragazza, la quale non porta il velo.
Ultimo passaggio, il “nulla osta politico”: per liberare i quattro giornalisti, i militanti avrebbero atteso la decisione dei comandi. In altre parole, c’è stata una valutazione strategica sui pro e i contro della liberazione. Anche su questo punto la preoccupazione era legittima, perché a “trattenere” i giornalisti erano uomini di Jabhat an-Nusra, il gruppo integralista il cui capo ha giurato fedeltà  ad Ayman al Zawahiri, leader di Al Qaeda. Ma alla fine la scelta è stata quella che mezza Italia attendeva con trepidazione.
A comunicare il rilascio è stato lo stesso Mario Monti, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri ad interim. E la notizia è stata accolta da un coro di felicitazioni: dalla Rai, ai sindacati dei giornalisti, alla politica. Anche Giorgio Napolitano ha accolto con «sollievo e soddisfazione» la notizia della liberazione. Andrea Riccardi, ministro per la Cooperazione internazionale, in visita ai profughi siriani nel campo libanese di Kfar Zabad, ha espresso «profonda soddisfazione per il fatto che i nostri giornalisti sono al sicuro e con la loro testimonianza potranno aiutarci a capire quello che abbiamo troppo spesso dimenticato, cioè che in Siria esiste un abisso umanitario».


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