by Sergio Segio | 5 Aprile 2013 6:35
E si è tentato di offrire un metodo da applicare nella trattativa con gli altri partiti; e questa è già una novità . Il riferimento alla «chiarezza e trasparenza» contenuto nel comunicato finale cerca di arginare l’impazzimento delle voci e dei veleni che circondano la lotta per il Quirinale. E abbozza un metodo che dovrebbe permettere «la più ampia condivisione possibile fra le forze parlamentari».
Si tratta di un approccio che evita le preclusioni nei confronti del Pdl berlusconiano. E non insegue ritorsioni per il modo in cui si è interrotto l’incarico a Bersani. Evidentemente, nel Pd l’idea di coinvolgere in una coalizione di governo e per il Quirinale il Movimento 5 Stelle del comico Beppe Grillo sta rientrando. I rifiuti ripetuti e sprezzanti dei grillini e le critiche arrivate dal sindaco di Firenze, Matteo Renzi, sul rischio di perdere tempo, hanno sottolineato un disagio crescente nel Pd; e forse convinto Bersani a scegliere con maggiore decisione un percorso che tenda a includere e non a porre pregiudiziali. Da questo punto di vista, Monti è una sponda naturale, seppure indebolita.
Soprattutto, continua ad essere un tramite con la Commissione europea che tiene sotto osservazione l’Italia. L’accenno, nella nota ufficiale, al «dialogo in corso» fra Roma e le istituzioni di Bruxelles rinvia alle perplessità internazionali sui provvedimenti economici del governo: soprattutto a quello sulla restituzione dei debiti alle imprese da parte della pubblica amministrazione. La misura passerà nei prossimi giorni, ma il richiamo all’Ue è un «memorandum» a partiti che sottovalutano l’impatto estero di conflitti e di veti che provocano immobilismo.
L’elezione del capo dello Stato, in programma a partire dal 18 aprile, può diventare il primo segnale di tregua. Il Cavaliere offrirà una rosa di nomi, sperando che alla fine passi un profilo non ostile al centrodestra. E la offrirà a Bersani alla fine della prossima settimana, proprio alla vigilia della riunione del Parlamento. Significa che hanno almeno intenzione di trattare, e che non escludono di trovare una soluzione. Il «metodo» inclusivo, se ha successo, implica anche la possibilità di un accordo. E su questo sfondo il colloquio di ieri con Monti è una sorta di segnale, perché il presidente del Consiglio dimissionario ha sempre valutato negativamente qualunque ipotesi che prescindesse dal Pdl nelle elezioni per il capo dello Stato. Nonostante gli attacchi ruvidi di alcuni esponenti berlusconiani, la considera inevitabile e necessaria.
Monti sa di incrociare le opinioni di quei settori del Pd, convinti che l’eventualità finora remota di formare un governo dipenda da un cambio di strategia: in primo luogo prendendo atto che il Movimento 5 Stelle non può diventare un alleato. Perché è chiuso nella propria «diversità » autoreferenziale, nel timore di perdere pezzi. Ma soprattutto, perché non può esserlo, come partito che rivendica un’agenda di politica estera condita con referendum per uscire dalla moneta unica europea; e adesso pronto anche a presentare una mozione per il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan: due temi demagogici e improbabili, che però sembrano fatti apposta per acuire i pericoli di isolamento dell’Italia sul piano internazionale. Rimane da capire se tutto questo basterà a spingere verso un compromesso. Non è affatto scontato.
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