by Sergio Segio | 24 Aprile 2013 6:31
«ORA comincia il negoziato più duro con l’Europa. Per l’Italia è vitale presentarsi con un governo credibile guidato da una personalità con forte carisma e sicura competenza economica. Perché questo premier dovrà ottenere a tutti i costi un allentamento dell’austerity dettata dalla Germania. Non c’è più tempo per scelte differenti ». Nouriel Roubini segue con crescente passione le vicende italiane. Insieme con Brunello Rosa, l’economista della London School e della Bank of England che oggi è direttore delle macrostrategie alla Rge, il suo think-tank, ha scritto una proposta economica per il nostro Paese alla vigilia della nuova fase politica e l’ha discussa con i potenziali capi del prossimo governo. «Il rischio è la nascita di un esecutivo debole, che restituisca a Berlusconi una centralità che già si è abbastanza ripreso, mettendolo in condizione di rovesciare il tavolo in ogni momento e tornare a
puntare al Quirinale».
Fra i nomi che girano, chi darebbe le migliori garanzie?
«Il prossimo premier deve rappresentare, per motivi nazionali ed esterni, un segnale di rottura col passato, avere il senso della leadership, portare una ventata di freschezza nel sistema. Amato gode di un’ottima reputazione internazionale, ma internamente potrebbe essere percepito come un Monti II e portare con sé le perplessità che hanno circondato, peraltro giustamente, la seconda fase del governo tecnico. Io vedrei bene le nuove personalità del Pd: Barca, Renzi, Letta».
Renzi sembra fuori gioco.
«E invece è quello che, cambiando radicalmente lo schema politico, darebbe una scossa di fiducia e vitalità , fondamentale per aiutare l’Italia a uscire dal suo malessere economico e istituzionale ».
Chiunque sia il capo, cosa deve fare subito il governo?
«Presentare a Bruxelles scelte coerenti e coraggiose, all’interno di un ampio e innovativo piano che preveda l’allentamento dell’austerity senza venir meno al rigore ma con un’attenzione decisamente orientata alla crescita. Bisogna tagliare il carico su cittadini e imprese, limitare l’Imu alla seconda casa, ridurre il cuneo fiscale, rivedere di nuovo le norme sul lavoro perché siano di aiuto alle assunzioni e non solo ai licenziamenti. Una riforma che ripeta il miracolo tedesco dell’Agenda 2010, varata all’inizio dello scorso decennio, che accrebbe la produttività in modo decisivo. La produzione industriale della Germania dal 1999 ad oggi è migliorata del 40% rispetto a quella italiana».
Molte delle sue idee costano belle somme. Dove reperirle?
«Nella seconda parte del progetto che il premier dovrebbe presentare a Bruxelles per preparare ad uno “scambio” con l’Europa, sarebbero indicate le coperture. Che vanno cercate nei fondi europei inutilizzati per incapacità progettuale, nell’intensificazione dei tagli alla spesa improduttiva, nella revisione profonda delle procedure di appalto pubblico, ed anche in una campagna di privatizzazioni più mirate di quelle fatte in passato. Bisogna vendere, più di quanto è stato fatto finora, le utilities ex municipalizzate.
E poi i tanti immobili che ancora fanno parte del patrimonio pubblico soprattutto locale, per i quali va studiato un leasing a lungo termine, 100-150 anni, sul modello anglosassone. Si darebbe un taglio ai tempi (meno di un anno contro i tre-quattro necessari per la vendita) e ai prezzi, creando opportunità di sviluppo degli immobili e delle aree ceduti. Ma il vero negoziato il governo deve condurlo sull’essenza stessa del deficit: i limiti del patto di stabilità dovranno essere interpretati con più flessibilità , perché un po’ più di deficit per fare investimenti può condurre alla ripresa, condizione necessaria per la riduzione a lungo termine del debito».
Quali possibilità realistiche vede che il tutto sia accettato?
«La chiave sta nella credibilità del governo. Noi vediamo tre scenari: al 50% si va avanti nella stagnazione e nell’incertezza con governi deboli e appena sufficienti a presentare il budget al Parlamento; al 20% si imbocca un circuito virtuoso in cui si riesce a migliorare i redditi e a ridurre il debito grazie al crollo strutturale dello spread; al 30% c’è la rottura con il ricorso ai piani d’emergenza della Bce, la ristrutturazione del debito pubblico, forse un’uscita dall’euro e not least una travolgente vittoria elettorale di Grillo. Che parla come se avesse le lire già in tasca e non si rende conto del disastro che sarebbe l’uscita».
Nello “scambio” con l’Europa cos’altro va chiesto?
«Che partano finalmente i piani di infrastrutture e il progetto per l’occupazione giovanile finanziati dalla Banca europea degli investimenti. È un organismo con grosse capacità economiche che non riesce a sbloccare le iniziative di sviluppo. E sapete cosa sospetto? Che accada così perché è gestito dai tedeschi».
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